Recensione: Of Secrets and Lore
Esordio discografico per i King Wraith, gruppo tricolore composto dal terzetto Daniele Genugu (voce e chitarre), Giorgio Novarino (basso) e Matteo Avanzo (batteria). I nostri si dedicano ad un heavy/power granitico, compatto e solido che in molti aspetti ricorda la proposta musicale dell’area teutonica (Running Wild e Paragon, per citarne due) ma che non sarebbe giusto né corretto, vista la qualità di questo Of Secrets and Lore, sminuire a semplice clone-band.
Prima di iniziare una trattazione più approfondita dell’aspetto musicale dell’album vorrei alzare il pollice per il suo ottimo artwork: so bene che non si giudica un libro dalla copertina, ma è innegabile che il primo impatto sia essenziale per attirare l’attenzione e distinguersi dalla concorrenza, e una copertina graficamente appagante è già di per sé un bel biglietto da visita.
L’album inizia con un arpeggio oscuro che fa molto Manilla Road, ma che in un attimo cede il passo ad un riff ben più quadrato. “Poseidon” è una speed song tirata e caciarona, ideale per aprire le danze e iniziare a scapocciare avanti e indietro: ritmiche sostenute e chitarre corpose su cui si innesta la voce di Daniele, molto azzeccata per il genere proposto ma penalizzata forse da una leggera staticità espressiva e un bilanciamento dei suoni non perfetto, che tende a favorire il resto del gruppo. “Flag of a Black Ship” prosegue il discorso intrapreso con l’opener, mantenendo inalterata la rotta ma puntando su tempi più scanditi e un maggiore ricorso ai cori: ottimo il breve assolo, carico di feeling, nella parte centrale, mentre l’arpeggio finale mi ha lasciato un po’ perplesso, troppo slegato dal resto della canzone per essere convincente.
“Roll’n Ride” è la classica canzone coatta che ci sta sempre, un heavy rock da cantare in auto con gli amici o davanti ad un boccale di qualsiasi cosa dotata della seppur minima gradazione alcolica: ancora una volta l’assolo centrale, sebbene non particolarmente originale, centra in pieno l’obiettivo senza bisogno di strafare. È il momento di King Wraith che, non so perché, ma ad ogni ascolto mi ricorda “Law of the Blade” dei Paragon per la sua carica aggressiva: anche qui il ritmo si mantiene incalzante per tutta la durata della canzone, che di sicuro troverà nei live la sua dimensione ideale.
Con “Iliad” i King Wraith cercano di percorrere una strada diversa, rallentando i tempi e puntando sulla solennità. Purtroppo l’esperimento non può dirsi del tutto riuscito, almeno a mio modestissimo avviso. La canzone, va detto, non è affatto male: possiede alcuni spunti interessanti e cresce con gli ascolti, oltre a possedere un respiro “avvolgente” che secondo me è un elemento fondamentale quando si vuole puntare sull’epicità, ma per tutta la durata di “Iliad” si ha la sensazione che qualcosa non vada come dovrebbe. Daniele si destreggia bene in questa veste più solenne, ma qui più che altrove torna a farsi notare lo sbilanciamento nei suoni cui accennavo all’inizio e che secondo me penalizza leggermente la voce in favore degli strumenti.
Con “A Chest of Gold and Fear” si torna a ritmi più briosi e incalzanti per una classica canzone power dal respiro “piratesco”, orecchiabile ed immediata, da cantare tra un brindisi e l’altro. Il discorso prosegue sulla stessa rotta anche con “Jaws of Death“, introdotta da un bel riff che richiama il celebre tema del film Lo Squalo (Jaws nell’originale): le due canzoni possiedono caratteristiche grossomodo simili, ma la seconda si fa a mio avviso preferire per la sua maggiore immediatezza, laddove invece “A Chest of Gold and Fear” tendeva a ripetersi un po’ troppo.
Con “Evil and Skulls” i King Wraith ci riprovano e tornano a puntare sull’epicità: come per “Iliad” i tempi si fanno più scanditi e solenni e il cantato si fa pomposo, ma qui il risultato è decisamente migliore. La canzone, un bel mid-tempo tutto cuore e passione, centra tutti gli obiettivi che si prefigge, correggendo il tiro e spazzando via quella appena percettibile ma fastidiosa sensazione di incompiutezza che aveva penalizzato Iliad, e anche se è ruffiana e non inventa nulla non fa niente, va bene lo stesso, chissenefrega. Inutile dire che “Evil and Skulls” si candida prepotentemente al ruolo di gioiellino dell’album, punto e a capo.
Chiude questo “Of Secrets and Lore” la title-track, canzone raccolta e “intima” che accompagna l’ascoltatore come una sorta di “The Bard’s Song” in salsa piratesca: forse un po’ lunga, ma svolge il suo compito alla perfezione cullandoci verso l’inevitabile dissolvenza.
Tirando le somme, Of Secrets and Lore è di sicuro un buon esordio da parte dell’italico terzetto, un album suonato con passione e coscienza dei propri mezzi che, nonostante qualche peccatuccio veniale qua e là, lascia ben sperare sul futuro del gruppo. Avanti così.