Recensione: Of the Depths…
A volte capita che in un genere inflazionato da tante, forse troppe proposte, come l’old school death metal, si trovi chi, grazie al proprio talento, riesce comunque a dare una sferzata all’ambiente.
È il caso del duo francese che risponde al nome di Skelethal il quale, dopo due EP non eccezionali nel 2014, centra in pieno l’obiettivo con il debut-album, “Of the Depths…”.
Se difatti si punta l’attenzione sullo stile, si scopre facilmente che i dettami seguiti da Gui Haunting (voce, chitarra) e Jon Whiplash (basso, batteria) non hanno molto né di innovativo, né tantomeno di rivoluzionario.
Però…
Però, appena scatenata la furia dell’opener-track ‘Sons of Zann’, è giocoforza intuire che la scellerata coppia abbia qualcosa in più rispetto alla media, un quid tale da rendere gli Skelethal degni di menzione e non solo. Anche l’incipt ambient non regala nulla in termini di originalità, anche se introduce come si deve il successivo massacro. La chitarra di Gui Haunting ha un suono semplicemente mostruoso. Marcio, distorto, cupo, rabbioso. Una goduria per le orecchie. Goduria che si prova nondimeno a rivoltare le zolle cimiteriali con l’ugola del medesimo Haunting, una sorta di semi-growling rauco, roco, scabro. Perfetto per l’innominabile sound generato anche dalla propulsione ritmica del basso e della batteria dell’altro empio membro, Jon Whiplash.
Non è facile individuare quale sia la molla che faccia scattare l’attenzione su “Of the Depths…”. Dopo nemmeno troppi passaggi, tuttavia, tutto diviene chiaro. È la semplicità, la schiettezza, maglio ancora l’immediatezza. Gli Skelethal non forzano nulla. Le song vengono da sé, trascinate dalla foga bestiale di un suono putrefatto al punto giusto. Certamente non cristallino ma nemmeno così decomposto sì da risultare intelligibile: se ci si concentra sui brani, si scopre che l’ordine regna sovrano. Contrariamente a quanto appaia a un distratto ascolto. Ordine e pulizia mentale, insomma, che rendono gli undici episodi del platter sciolti e scorrevoli.
Peraltro, Haunting & Whiplash non compiono nemmeno l’errore di rallentare esageratamente i BPM. Meccanismo, questo, deleterio nel caso del death metal vecchia scuola poiché, alle basse velocità, si entra in competizione con il doom, senza essere… doom. Invece, gli Skelethal pestano dannatamente e costantemente duro, con rapido piglio, senza disdegnare di accarezzare la furia dei blast-beats (‘Scaly Smelly Flesh’).
Prova di ciò ne è ‘Outer Conviction’, song senza particolari sussulti sino a quando Whiplash non alza il numero di battute al minuto per un folle quattro quarti da allucinazione
Alla fine è chiaro che “Of the Depths…” non cambierà le sorti del Mondo, nondimeno è altrettanto lampante che rappresenti una delle migliori uscite in ambito death classico, nel 2017.
Daniele “dani66” D’Adamo