Recensione: Oikoumene
Le coordinate me le aveva date un amico; era stato lì anche lui qualche giorno addietro. Non avevo avvisato, meglio di no, non dopo quello che mi era stato raccontato, però sapevo che era lì. Era un giorno speciale, il giorno per i fan. Le mie orme a seguirmi sulla neve. La chiesetta imbiancata era in vista. Non esisteva una parola d’ordine prestabilita, solo avrei dovuto rispondere a una domanda non prestabilita. Ero pronto: toc, toc… silenzio. Aspetto, i secondi scorrono, poi una voce dietro la porta mi domanda: «Il nome del suo pony?» Io: «(facile) Rocky». Silenzio… la porta si apre.
David appare in un saio nero che reca la seguente scritta “The World Needs a Hero” e vuole che lo segua. Nel momento in cui mi volge le spalle noto, disegnata sulle sue vesti, le sembianze di un volto noto. Quella chioma poi… «È molto occupato, ma oggi è il vostro giorno, per cui un minuto lo troverà per te, solo avessi avvisato, avrebbe potuto prepararsi per una sorpresa…» La sorpresa mi spaventava, ero stato messo in guardia, avrebbero suonato brani acustici dall’ultimo album Super Collider Unplugged? Anche no. «Peccato dico, io, ma gli ruberò davvero solo pochi minuti».
Mi ritrovo al centro della navata. È passato del tempo. Silenzio. Sento ogni tanto qualche nota provenire da quello che riconosco essere un mandolino. Quella melodia io la conosco e mi ritrovo a scuotere la testa e canticchiare “Symphony of Destruction”! Appare sul pulpito quella chioma fulva ben nota. Indossa un kimono. Dopo una pausa enfatica Padre Mustaine proferisce parola: «Figliolo, se solo tu avessi avvisato, avresti potuto assistere a qualcosa di speciale. Abbiamo sempre una sorpresa per i nostri fan.» Ora mi fissa dritto negli occhi e mi pare in difficoltà a focalizzare. Cerco di sembrare costernato. Padre Mustaine spalanca le braccia e guardando verso l’alto tace. Quindi gli dico: «Padre – pausa interlocutoria – ho necessità di chiederLe consiglio, devo recensire un disco…» Ora, rivolgendosi a me con sguardo tra il perplesso e l’irritato: «No, non è dei Metalli… aehm, è un album di una band metal d’ispirazione cristiana, croci e tutto il resto e, beh, io non sono esattamente un…» mi interrompe e con espressione ispirata, come solo lui sa fare, mi si avvicina. Enfatizzando con il pugno rivolto verso il proprio sterno mi dice: «Figliolo, se suonano con il cuore… Credi tu nel sacro dogma per cui l’assolo di “Tornado of Souls” esiste solo in quanto emanazione del mio karma su Friedman?» Lo guardo con riverenza: «Lei è un sant’uomo, non credo di aver mai visto una chioma così luminosa e illuminante!» Le palpebre sono quasi del tutto serrate, le lebbra a becco d’oca mi puntano, Padre Mustaine ora cammina al mio fianco. «Ti ho mai raccontato di quella volta che ho umiliato Lars Urlich a birra e salsiccia?» Qual è il significato di tutto ciò?
Nessuno sia chiaro. Volevo semplicemente scrivere un piccolo tributo a un grande recensore ormai ritiratosi (per i più giovani, tale Luca Signorelli). Inoltre c’è davvero una band d’ispirazione cristiana che suona progressive metal da recensire e viene pure d’Arezzo! Per cui non perdo altro tempo.
Gli Inside Mankind si formano nel 2005. Solo quattro anni dopo è prodotto il loro primo demo intitolato Angels Fire. Da quel demo in poi, tuttavia, vi sono stati altri avvicendamenti. Solo Matteo Bidini, il batterista, resta in line-up. E con lui l’idea di suonare progressive metal d’ispirazione cristiana, non white metal dicono loro. Pare che ogni membro abbia un’estrazione musicale (e religiosa?) diversa, al bando, dunque, gli stereotipi e le etichette, raccontiamo la musica.
Anzi, meglio di no. Non provo a descriverli, i pezzi, nel dettaglio. Troppi passaggi, influenze che s’incrociano e una band che suona musica progressive arricchita dai vocalizzi operistici di Claire Briant Nesti. La voce femminile di Claire, altresì, alterna momenti di stampo lirico a un cantato più accessibile.
Il gruppo ricorda sia musicalmente, soprattutto per certi fraseggi batteria/basso/chitarra, sia per sembianze (il bassista Christian Luconi assomiglia a Myung mentre il batterista Matteo Bidini ricorda Mike Portnoy!) i Dream Theater e molto spesso ne diventano una versione power-speed. E se pensate che sia finita qui, manco per sbaglio, vi è anche una voce gutturale verso il death. Tutto questo in una sorta di milkshake corretto al napalm!
Non è certo da bere tutto d’un sorso il loro album di esordio, Oikoumene, titolo che si traduce “abitare”, indicando la porzione di terra popolata dall’uomo e in un senso più ampio significa “la casa dove tutti abitiamo”.
Il primo brano “Out of the Loop” è manifesto del loro modo di suonare, definito da una voce femminile operistica e un metal progressivo veloce che concede spazio ai virtuosismi di tutti gli strumenti, ma allo stesso tempo riesce nel tentativo di un approccio viscerale alle melodie. Così la seguente “City (The Street of Our)” si muove su coordinate simili, ma si arricchisce di una voce death che chiosa abilmente il ritornello dei cori. La melodia funziona e, a un certo punto, sono distratto da una voce fuori campo: non si tratta certamente di un inno a Satana, in realtà si filosofeggia in ambito cristiano. Solo che tale voce narrante è superflua e distrae dall’ascolto della musica.
Il terzo brano, “Forty”, si colora di ritmiche ancora più serrate, qui la voce di Claire diviene più aggressiva, nel contesto di una traccia che assume connotati tecno-trash e dove i virtuosismi operistici sono diluiti in favore di sbalzi umorali in un crescendo rabbioso. Segue “Magdalene”, di un lirismo più meditato, ma non è certo avara di virtuosismi e accelerazioni distorte. Ancora una volta gli Inside Mankind dimostrano di saper bilanciare virtuosismi e melodie sempre interessanti e personali. Nel brano prescelto come singolo, “Keep me by the Stars”, provano a ripetersi, pur inventando soluzioni sempre nuove.
Consiglio di ascoltare l’inquieta “Phariseum” che diviene death senza troppe mediazioni: ora è protagonista la voce maschile ed è solo gutturale, mentre Claire accompagna sullo sfondo in virtuosismi operistici: sembra davvero un altro gruppo. Le ritmiche della chitarra di Francesco Monaci sono serratissime e pesanti; la batteria pesta di brutto.
Ultimo brano del disco è la suite “Human Divine” che prende avvio da un coro latino inneggiante alla resurrezione del Cristo Redentore. Poi il brano accelera e il cantato alterna lirismi a parti più classiche e aggressive. Quindi si fa largo la voce narrante che specula e filosofeggia. Si riparte e c’è tutto quello che abbiamo sentito finora, variazioni sul tema e passaggi strumentali ricercati.
Quando mi è stato proposta la recensione di questo disco ho semplicemente pensato che gl’Inside Mankind riuscissero a mettere assieme stili diversi che mai avrei voluto sentire miscelati nello stesso album. Anche la questione religiosa in parte mi preoccupava. La sfida, dunque, era vincere i miei personali pregiudizi e ascoltare qualcosa che non avrei mai preso in considerazione di mia iniziativa. Devo dire che il primo approccio con Oikoumene è stato difficile: lo ammetto, al principio interrompevo di frequente l’ascolto dei brani dopo pochi minuti. Poi anche per via di un festival ligure che infestava TV, internet e altro ^^, ho trovato la giusta concentrazione e la musica degli Inside Mankind è diventata leggibile.
Rimango colpito dalla loro bravura e dal fatto che siano in grado di trovare quasi sempre melodie interessanti lungo brani dalle partiture complesse. La voce, poi, da soprano di Claire è notevole ed è anche sorprendente la sua capacità di variare verso soluzioni più ortodosse. Quello che non sempre mi ha convinto è l’eccessiva varietà di soluzioni, certamente pregevoli dal punto di vista tecnico, però unite a un cantato da soprano (alternate a quello gutturale) a volte risultano appesantire eccessivamente la struttura delle canzoni.
Detto questo, l’esordio degli Inside Mankind è senz’altro positivo: la loro musica assimila generi e influenze diverse per restituirci soluzioni melodiche d’impatto e brani, cui vale decisamente la pena di dare una possibilità.