Recensione: Old Man’s Wyntar
Black metal rarefatto, ricco di citazioni folk e divagazioni ambient per i tedeschi Mosaic. Capitanati da Inkantator Koura, ripropongono l’Ep “Old Man’s Wyntar” via Eisenwald label, con l’aggiunta di un secondo capitolo, trasformando il tutto in un vero e proprio full-length.
Disco dagli sviluppi molto dilatati, che per ambientazioni ci ricorda Burzum, la old school black metal di Darkthrone e Viking Crown, il tutto però in una chiave più epica e trasognata.
Nessuna tecnica sopraffina, o virtuoso protagonismo, gelido presagio che si tinge dei colori della notte, un fuoco nel cuore della foresta che dipinge di rosso il bianco candore di una notte d’inverno. Proseguiamo il nostro cammino in un nebbia che via via si fa fitta, poi d’improvviso rada, squarciata da una luce lunare dai toni celesti.
Immersi nella natura dormiente seguiamo un sentiero già percorso da altri, ma non per questo siamo meno incuriositi ed affascinati dalla classe dei Mosaic.Preghiere tra il vento corrono via, come anima e pensiero che lentamente si allontano dal nostro fragile corpo. Suoni di campanelli scandiscono un passo che, seppur pesante, è ancor vigoroso.
L’impressione che tutto possa finire da un momento all’altro rende speciale ogni attimo, andando oltre ad una mestizia in cui, in altri contesti, molte realtà si spengono. L’anima pagana del project va a creare una sorta di speranza, di alternativa a questo pellegrinaggio, così da portarci un’energia e vitalità inattese. Chiaro, il contesto è quello di un black freddo e di scuola vetusta, ma il tutto è impreziosito con pennellate di folk e crescendo epici che, nonostante la semplicità, possono emozionare.
Nessuno cambierà idea sul filone ascoltando “Old Man’s Wyntar”, niente di nuovo viene aggiunto, resta però un’idea di base che si fa forza con atmosfere ed un minimalismo che affascina e farà la gioia degli amanti del genere.
Stefano “Thiess” Santamaria