Recensione: Oltre…l’Abisso
Ho ricontrollato più volte il calendario perché mi sembrava strano… va bene, uno si distrae, una cosa tira l’altra e si perde il filo, ma qui la cosa ha dell’incredibile! Senza colpo ferire, come se nulla fosse, sono già dieci anni che i Folkstone imperversano nella nostra beneamata penisola!
Un bel traguardo, non c’è che dire. E quale miglior modo di festeggiare questo risultato se non aggiungendo un nuovo disco ai cinque già pubblicati? Evidentemente, il mio pensiero è in linea con quello del combo bergamasco che, infatti, ha deciso di chiudere il 2014 proponendoci questo “Oltre…l’Abisso”.
Devo ammettere di aver atteso l’album con particolare interesse; l’ultimo disco in studio, “Il Confine”, mi aveva colpito per la virata stilistica intrapresa ed ero curioso di scoprire se e come sarebbe proseguito il processo di maturazione dalla band. Appena messo le grinfie sul disco, ho cominciato subito a rigirarmelo tra le dita, cercando di carpirne i segreti e di valutarne pregi e difetti. A cosa hanno portato le mie ricerche e le mie elucubrazioni? Un po’ di pazienza e lo scoprirete…
L’impatto iniziale è straniante: sebbene il cartonato che contiene il CD non si allontani in maniera rilevante dai precedenti involucri, bisogna fare un discorso ben diverso già per quanto viene raffigurato sul digipak: saranno i colori accesi, saranno le immagini allegoriche ma, dal Medioevo buio delle precedenti copertine, siamo stati trasportati in pieno sedicesimo secolo fiammingo, con una scena corale carica di energia in piena eruzione. Vi premetto subito che la scelta grafica non è casuale: tutta questa vivacità trova un riscontro diretto all’interno delle quattordici tracce che compongono l’album.
Mai come in questo caso, infatti, i Folkstone hanno inspessito le trame sonore che formano i brani, soprattutto per quanto riguarda l’esecuzione della parte “elettrica”: basso e chitarra si lanciano in fraseggi e accordi decisamente appesantiti e incattiviti rispetto al passato.
È forse quest’ultimo l’aggettivo che meglio riassume tutta l’atmosfera che permea la produzione: i nostri sono ancora più arrabbiati del solito, la musica e le parole sono più taglienti e c’è un senso di ira frustrata che aleggia tra brano e brano (la pur non eccellente “Fuori sincronia” ne è una perfetta dimostrazione). Sebbene l’approccio scelto sia così vigoroso, ciò non impedisce ai bergamaschi di inserire, come d’abitudine, anche alcune ballate, pezzi in cui il ritmo cala e l’ascoltatore viene condotto in una dimensione poetica e sognante; esempio eccellente è “Le voci della sera”, un brano branduardiano nelle tematiche e nella forma, complice anche l’ottimo violino di Chris Dennis. Oltre all’alternanza piano-forte, il disco segue una canovaccio già collaudato anche per altre sfaccettature: a fianco della cover italiana (questa volta, è il turno dei Litfiba dei tempi d’oro), troviamo un omaggio a una conterranea del gruppo: se, nel precedente, avevamo il controverso vendicatore Pianetti, questa volta troviamo la neuropsichiatra Mimma Quarti che, come tanti altri, dovette lasciare il nostro paese per lavorare, pur ricevendo vari riconoscimenti, anche per il suo ruolo di partigiana. È bello, però, che questo adagiarsi sulle consuetudini non abbia appiattito le sonorità del gruppo che, anzi, realizzano un album dallo stile variopinto e personale, dai sapori molteplici e dalle trovate complesse.
Di solito, cerco sempre di non crearmi aspettative eccessive per un disco. Con “Oltre…l’Abisso”, come premesso, ho infranto questa regola, conscio del rischio di rimanere eventualmente scottato da un prodotto mediocre. Fortunatamente, non è successo. Il lavoro intrapreso ne “Il Confine” è senza dubbio proseguito; i nostri hanno continuato a sperimentare e ad approfondire la ricerca di sonorità proprie: se fino a “Damnati ad Metalla” avevamo un folk metal interessante, ma ben riconducibile a canoni musicali già esistenti, questo album consolida un sound “alla Folkstone”, sicuramente debitore di band come In Extremo o Schelmish, ma da cui si è ormai distaccato per intraprendere una strada propria, più complessa e rischiosa ma, proprio per questo, più ricca di soddisfazioni per chi suona e per chi ascolta. I ragazzi sono cresciuti e, parimenti, è maturata la loro musica. Ci auguriamo che la loro strada sia ancora lunga; credetemi, vale la pena accompagnarli.
Damiano “kewlar” Fiamin