Recensione: Omega
A distanza di due anni dal precedente “Phoenix”, i quattro componenti originali del supergruppo Asia – John Wetton (King Crimson, UK, Uriah Heep), Geoff Downes (Yes, Buggles), Steve Howe (Yes) e Carl Palmer (ELP) – si riaffacciano sul mercato discografico con un nuovo full-length intitolato “Omega”, il secondo dalla reunion della line-up degli esordi, avvenuta nel 2006.
“Phoenix” era stato ben accolto, nel complesso, da critica e pubblico, anche se da parte di più di qualcuno era stata osservata – per via di un’eccessiva rilassatezza di fondo – un’affinità sin troppo evidente alle opere proposte dal duo Wetton-Downes con il monicker Icon, risultando così distantissimo dal bombastico ed irrepetibile esordio omonimo del 1982, disco che vendette all’epoca un numero spropositato di copie.
Una sorta di rock della mezza età (se non della terza!), insomma, certamente di pregevole fattura ma magari non esattamente la “cup of tea” del visitatore medio di Truemetal.it.
“Omega” sembra voler fornire una risposta ai (per la verità pochi) detrattori di “Phoenix” fin dalla scelta del produttore: alla regia arriva, infatti, un elemento esterno, Mike Paxman, in passato alle prese con gente tosta come Uriah Heep e Status Quo.
L’obiettivo di premere l’acceleratore su suoni più rock è però raggiunto solo in parte, giacché “Omega”, pur se tendenzialmente più dinamico e grintoso del suo immediato predecessore (che peraltro al sottoscritto era piaciuto molto), continua ad indugiare spesso in canzoni in forma di ballata, rivelando, talora, maggiore propensione per il pop piuttosto che per il prog (genere da cui i quattro “maestros” provengono).
L’approccio giusto, a parer nostro, per accostarsi e per gustare “Omega” – le cui composizioni sono peraltro di eccellente fattura e che, a dispetto del titolo, non è da intendersi come ultimo album della band, così come “Alpha” non ne era il primo – è quello di non paragonarlo all’immortale, inarrivabile “Asia”, quanto appunto al secondo “Alpha” e alle opere, solistiche ed in tandem con Downes, di John Wetton.
Paradigmatica ci sembra la opening track: “Finger on the Trigger” ha un bel tiro, ed apre il CD in maniera promettente e scoppiettante, ma è un brano che gli appassionati già conoscono, in quanto già presente nel secondo full-length degli Icon, sebbene qui riproposto in chiave più hard e con suoni meno patinati.
Già con “Through My Veins” i giri rallentano, anche se c’è poco da dolersene: siamo alle prese con una ballata affascinante, nel solco del miglior repertorio di Wetton con e senza i suoi compagni d’avventura, impreziosita da un bel giro di basso e da una voce calda, avvolgente e sempre all’altezza dei tempi che furono.
La velocità aumenta con la successiva “Holy War”, aperta da un riff sinfonico tipicamente “Asia”. Siamo alle prese con un brano pomp/AOR che farà la gioia di chi ha apprezzato il sottovalutato ma eccellente “Astra”. Travolgenti i fuochi d’artificio della batteria di Carl Palmer, invero alquanto sacrificata nel resto dell’album.
L’ottovolante delle atmosfere ci riporta con l’elegantissima “Ever Yours” dalle parti della ballad, che in questo caso assume contorni quasi gospel.
“Listen Children”, invece, è un mid tempo che c’introduce in territori non attraversati in precedenza dagli Asia: si tratta di un brano molto easy listening, con venature popolari e folk nel ritornello e qualche nuance progressiva qua e là. Tra le cose migliori di “Omega”.
Se la raffinata “End of the World” scorre senza lasciare traccia di particolari emozioni nell’ascoltatore, “Light The Way” avvince a partire dalla saettante intro di tastiere fino ai pregevoli intarsi di chitarre elettriche ed alla maestosità del chorus.
“Emily”, bonus tracks per l’Europa, è un brano pop di modesta rilevanza, mentre “I’m Still The Same” è un altro pezzo originale ed inconsueto per la band (e dunque molto poco “Asia”). L’atmosfera è molto easy listening e parecchio, ma parecchio, british e ci fa pensare a Kinks e certi Queen. Gradevolissimo, ed un buon viatico, nella sequenza delle tracce, per arrivare ad una doppietta scintillante, costituita da “There Was a Time” – ancora una ballata, stavolta non solo elegante ma anche intensa, nostalgica e dolente, il cui lirismo è esaltato da tesi passaggi strumentali di stampo progressivo, nonché dal raffinati ghirigori della chitarra di Steve Howe e dalla limpida voce di John Wetton, sempre sugli scudi – e da “I Believe”, pomp rock sfavillante e sinfonico, che rimanda efficacemente tanto ai classiconi degli anni Ottanta del secolo scorso, quali “Don’t Cry”, quanto ai rocker di “Phoenix”.
Per noi il CD potrebbe anche chiudersi qui, ma c’è ancora tempo per una quieta e crepuscolare canzone condotta dalla chitarra acustica, “Don’t Wanna Lose You Now”.
In conclusione, “Omega” è una release che certamente soddisferà i die-hard fans della band inglese (soprattutto coloro che amano in particolare il repertorio solista di Wetton ed i side-project tipo Icon), portando certamente gli Asia un passo avanti rispetto a “Phoenix”, ed aggiungendo al proprio suono – ammirevolmente per un gruppo di “dinosauri” del rock – anche qualche spunto d’originalità.
Probabilmente tuttavia, non riuscirà, come si diceva più sopra, a convincere appieno coloro che rimpiangono brani della forza di “Wildest Dreams”, e che proprio non reggono il riproporsi delle morbide atmosfere delle ballads alla Wetton, ancorché quasi sempre caratterizzate da un eccellente songwriting e da pregevole maestria nell’esecuzione e nell’arrangiamento.
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Line Up:
John Wetton: basso, voce
Geoffrey Downes: tastiere
Steve Howe: chitarre
Carl Palmer: batteria
Tracklist:
01. Finger on the Trigger
02. Through My Veins
03. Holy War
04. Ever Yours
05. Listen Children
06. End of the World
07. Light The Way
08. Emily (bonus track)
09. I’m Still The Same
10. There Was a Time
11. I Believe
12. Don’t Wanna Lose You Now