Recensione: Omegon
A distanza di otto anni di tempo dall’ultimo full-length, intitolato “Krigshu”, prosegue la saga di Krigshu, appunto, un hacker della timeline coinvolto nella manipolazione delle forze che regolano il Cosmo. Egli, qui, nel nuovo album, combatte per svelare i misteri di Omegon, una misteriosa sostanza cosmica che detiene il potere supremo.
In questo lasso di tempo la band si è comunque mantenuta attiva, seppure al minimo dei giri, grazie a un EP, “Metaportal” (2019), e a uno split, “Wormed / Copremesis” (2022). Evidentemente, la tragica e prematura scomparsa del batterista Guillermo “G-Calero” Calero, sostituito dal pur valido Gabriel “V-Kazar” Valcázar, ha destabilizzato il meraviglioso equilibrio raggiunto con il su menzionato LP.
Inoltre, nel frattempo, il Mondo è andato impietosamente avanti, così, gruppi del livello tecnico/artistico dei Nostri, sono spuntati come funghi. Il brutal death metal, il technical e anche quello che oggigiorno è definito come progressive death metal, sono terra di conquista da parte di act dalla preparazione mostruosa, a momenti inumana. Esattamente come quella posseduta dal combo spagnolo nell’ormai lontano 2016.
Tuttavia, come ben si sa, la classe non è acqua per cui “Omegon” sprizza energia blu da tutti i pori. Le macchine e gli automi sono ben oliate per cui diviene semplice buttasi nel mucchio a velocità supersonica.
Il growling e l’inhale del mastermind Phlegeton comandano le truppe d’assalto con foga e un masticato suinare che dà un tocco di brutal a quello che, per chi scrive, è technical death metal alla massima potenza. Il sound è spettacolare nella sua immensità, talmente prorompente che, come un immane tappeto, si distende nell’Universo abbracciando le galassie. Nell’incedere fra stelle e pianeti è padrona la sezione ritmica, impressionante nel padroneggiare con destrezza e semplicità la sterminata quantità di cambi di tempo. Up, mid e up-tempo ma soprattutto blast-beats si susseguono senza che ci sia mai un’indecisione, ma un vuoto nella complessa trama cucita dal basso e dalla batteria.
A tal proposito non si può non rimarcare che la produzione abbia tagliato i suoni più bassi, con il risultato di dar poco risalto all’altro mastermind Guillemoth e di creare l’orribile suono del rullante, che gioco forza si accumuna al famigerato fustino di detersivo acquistato al supermercato. Difficile dare una risposta a questo fatto. La Season Of Mist è una delle migliori label in materia, per cui quanto sopra potrebbe essere un effetto voluto. Ma errato.
Fatto sta che l’incommensurabile suono di “Krigshu” non esiste più se non in misura ridotta, ricreato in dosi un po’ più accessibili a chi non ha paura di provare il brivido estremo dell’hyper-speed. Certo, il massacro totale delle membrane timpaniche porta a bere molto sangue, così come la forte visionarietà dei brani, che conducono chi ascolta verso l’astrazione allucinatoria che ha come soggetto Omegon.
Occorre assolutamente rimarcare il lavoro pazzesco delle chitarre, autrici di un riffing alieno per via di una varietà incredibile. Complicate partiture si susseguono senza limitazioni di sorta, spaccando l’atmosfera per ridurla in frantumi. La pazzesca preparazione tecnica della formazione di Madrid è sempre lì, a turbare i sonni dei fan con incubi in cui la ragnatela di accordi distorti e dissonanti si stringe fortemente al corpo, provocandone la morte per asfissia.
Le canzoni sono buone, nel senso che sono erette su strutture diverse, dando luogo a un insieme compatto, coeso, in cui emerge la personalità di chi, oltre che virtuoso del proprio strumento, sa comporre con varietà e continuità.
Alla fine dei conti non resta che osservare il quid in più a carico dei Wormed, sempre e comunque dei Campioni del genere. Il periodo di ferma non ha senz’altro giovato, ma i Wormed sono i Wormed, per cui non resta che attendere che ritornino a esserlo al 100%.
Daniele “dani66” D’Adamo