Recensione: Ominous
Che Samoth avesse capacita’ oltre la norma dei black metallers dell’ondata storica lo sapevamo sin dai tempi degli Emperor. Il successivo progetto Zyklon non aveva fatto che confermare la cosa, mostrando al mondo metal quale fosse l’anima violenta degli Imperatori norvegesi, in contrasto con quella progressiva rappresentata da Ihsahn. Nel 2010, viene l’ora per Tomas Haugen di lanciare un ulteriore progetto, dopo il decadimento naturale degli stessi Zyklon.
I The Wretched End sono nati senza grande clamore: un paio di comunicati in cui si prospettava un imminente disco e si davano generali informazioni sulla line-up era tutto quello che fan e curiosi avevano potuto leggere. In un mondo ormai avvezzo all’aggiornamento quotidiano (quando non al bombardamento mediatico), Samoth rispettava la propria immagine di musicista riservato, quasi misterioso. Sono stati i primi sample dell’album di debutto a fare davvero luce su ciò che succedeva da quelle parti: un suono tagliente, una bomba death/thrash, un’ispirazione che mancava a questi livelli da un bel po’. Ora, gli Zyklon hanno rappresentato forse la vera evoluzione da terzo millennio di quella forma di death nata coi Morbid Angel di Domination/Covenant e imbastarditasi ulteriormente di industrial; ma dopo la spinta iniziale, si erano un po’ fiaccati sull’ultimo Disintegrate. Ominous, semplicemente, torna all’ispirazione e ferocia di un World of Worms, evolvendo ancor di più il sound.
Diciamo subito che i musicisti sono perfetti per quelli che erano gli obiettivi: Cosmo ha la giusta voce, corrosiva tanto da rimandare al miglior thrash senza perdere l’impatto del death; Samoth e’ il solito maestro del riffing serrato e tagliente, perfetto nel trasferire l’abrasione del miglior black metal in un suono che black metal non lo e’ per nulla; ma la vera sorpresa e’ mr. Nils Fjellström (gia’ con Aeon e Dark Funeral, tra gli altri): una vera bomba dietro le pelli, tanto da non far rimpiangere un drummer ormai entrato nel mito come Trym.
Highlights dell’album e’ difficile trovarne, non perche’ il disco sia piatto ma perche’ tutti i brani, seppur variegati, sono di qualita’ ugualmente altissima. Si va quindi per gusto personale, e a quel punto le influenze black/industrial di The Armageddonist e l’urlo corale di Human Corporation sono i punti di impatto maggiore sull’ascoltatore. Ripetiamo: qualita’ ugualmente altissima, quindi ad ogni riff potrete trovare un momento preferito, o qualcosa da mettervi a suonare sul vostro strumento di fiducia. Ominous risulta alla fine essere un album dal feeling urbano, industriale, ma anche misterioso; malvagio come un disco black di quelli che Samoth sfornava ai tempi e diretto come il miglior album degli Slayer.
A sentire Samoth un nuovo album e’ praticamente gia’ stato scritto, e non abbiamo dubbi che si tratti di un’altra perla: torniamo intanto sul discorso che si era (di nuovo) interrotto con Ominous, e godiamoci il presente.
Alberto Fittarelli
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Tracklist:
1. Intro 00:33
2. Red Forest Alienation 02:59
3. The Armageddonist 04:08
4. Last Judgement 04:04
5. Of Men and Wolves 04:05
6. Numbered Days 04:28
7. With Ravenous Hunger 03:25
8. Fleshbomb 03:53
9. Human Corporation 04:55
10. Residing in Limbo 03:13
11. The Juggernaut Theory 04:21
12. Zoo Human Syndrome 05:16