Recensione: Omni
Ed è arrivato il momento del sesto album per i The Browning, “Omni“, a rimpinguare una discografica niente male se presa nella sua totalità (demo, singoli, EP, ecc.). Del resto la band è attiva da quasi vent’anni, per cui non ci si deve stupire poi troppo di questa felice prolificità.
Band nota per aver mischiato il deathcore all’elettronica. Quest’ultima non soltanto come supporto ma, anzi, come protagonista indiscussa, ovviamente assieme come coniuge al genere più su menzionato. Il risultato di questa unione scellerata è devastante: “Omni“, difatti, è un demolitore di tutto ciò che incontra sul suo cammino.
Il deathcore è spaventosamente potente, nel suo andirivieni fra frequenze da subwoofer (“Wake Up“) che sconquassano le budella e segmenti in cui si alzano i toni. I breakdown sono semplicemente terrificanti. Difficile, infatti, trovare in giro qualcosa che sia pari alle disgregatrici stoppate che si trovano sparse qua e là nel disco (“Soul Drift“).
Come da dettami primigeni il deathcore è un qualcosa di massiccio, se si vuole monumentale. La cui possanza esplosiva raggiunge i massimi livelli di sopportazione umana grazie alla sinergia fra i riff delle chitarre dai toni ribassati – compressi per via del palm-muting per dare l’idea di una motosega al lavoro – la voce e la sezione ritmica.
Voce che è in capo a Johnny McBee – coadiuvato dal bassista Collin Woroniak, il quale sputa letteralmente le tonsille nel tentare di dar vita alle harsh vocals più massacranti che ci ci siano. Per la sezione ritmica, si può accostare l’incedere a quello dell’industrial metal. Incedere meccanico, freddo, glaciale, come detto dalle tonalità iper-basse, il cui incremento giunge, a volte, a travolgere la barriera dei blast-beats.
A questa titanica espressione musicale aderisce l’elettronica. Anch’essa dal sapore vagamente industrial ma che in realtà è concepita per supportare il metal estremo a esprimere ancora più forza e prestanza, concentrandosi in un processo che si può dire di abbellimento della matrice di derivazione death. Non solo quando si tratta di pompare a manetta per ingrandire la sfera acustica delle tracce ma anche nei momenti in cui si avviluppa a gorgoglio delle linee vocali.
Spesso all’elemento sintetico è deputato il compito di fungere da incipit per la successiva esplosione del riffing. Altre volte esso connota alcuni segni caratteristici dei brani (“Hivemind“), oppure si manifesta come trama portante (“Fed Up“). In quasi tutti casi, però, la chirurgica annichilazione delle molecole è garantita da un sound tecnicamente perfetto, in grado di supportare un’energia interna alla formazione statunitense pari a quella termonucleare.
In mezzo a tanta distruzione di massa un’eccezione c’è, che è anche il solo istante in cui fa capolino un po’ di melodia. Si tratta della title-track, la quale si avvale della collaborazione del terzetto di rock elettronico The Defect, la cui voce femminile s’inserisce efficacemente fra le strette maglie tessute dall’ugola di McBee. Voce non comprimaria bensì protagonista, regalando alla canzone una sensibile componente di visionarietà, comunque presente in ogni ambito del lavoro preso nel suo complesso.
Come si poteva prevedere, difatti, l’immane e precisa forza distruttiva del deathcore, sommata a una sezione elettronica dalla grande potenza, genera in chi ascolta immaginarie città dal perimetro sterminato, in cui vivono decine e decine di milioni di persone; oppure immense astronavi atte a intraprendere viaggi stellari. Insomma, si tratta di una percezione del tutto personale ma di sicuro effetto per chi si immerge in “Omni“.
Full-length che si discosta da alcune peculiarità del dogma del metal, questo sì, ma che ne fa comunque un’appendice di grande progressione, inventiva e, perché no, infinita potenza… metallica.
Daniele “dani66” D’Adamo