Recensione: Omnio
Esistono dischi che nella loro unicità danno l’impressione di collocarsi al di fuori dal tempo, in una dimensione propria, che realizzano trait d’union fino a quel momento impensabili tra il passato e il presente, rivolgendo al contempo lo sguardo verso il futuro. Dischi che in qualche modo riescono a racchiudere in note il vasto e sfaccettato universo dell’emotività umana, ad esprimere con incredibile forza comunicativa idee, sentimenti, stati d’animo, in ciò realizzando quella che, ad avviso di chi scrive, dovrebbe essere la prima e principale funzione dell’espressione artistica in ogni sua forma. Opere che è inopportuno e riduttivo cercare di inquadrare all’interno di un genere ben preciso.
Tutto questo è “Omnio” degli In The Woods…, gruppo norvegese nato nel 1992 dalle “ceneri” dei Green Carnation dopo che il membro fondatore Tchort aveva abbandonato la band per passare agli Emperor. I membri rimanenti hanno quindi proseguito sotto diverso nome, esordendo nel 1993 con un demo, “Isle of men”, seguito a distanza di due anni dal primo full length “Heart of the Ages”, lavoro notevolmente sperimentale in cui si intrecciano le influenze più disparate, dal black metal all’ambient, dal folk all’elettronica, passando attraverso suggestioni pinkfloydiane, momenti doom e passaggi epici.
Eppure, nonostante l’indubbia carica innovativa e originalità dell’ottimo album d’esordio, penso che nessuno di coloro che avevano avuto modo di conoscerli e di apprezzarli fino a quel momento si sarebbe mai aspettato l’enorme balzo stilistico compiuto col successivo “Omnio”. Qui la formazione norvegese, conscia delle proprie potenzialità artistiche e di una piena maturità tecnica e compositiva, abbandonando ogni vincolo di genere e forma si proietta verso orizzonti musicali distanti e in gran parte inesplorati, irraggiungibili ai più.
Come tentare dunque di dare una descrizione quantomeno adeguata della musica contenuta in questo secondo, prezioso capitolo della esigua produzione discografica targata In the woods? La definizione che più di ogni altra si presta allo scopo è “progressive”, da intendersi però nell’accezione più ampia -e pertanto più vera- del termine. Non pensate perciò al genere che va sotto il nome di progressive metal: la mentalità compositiva che sta alla base di “Omnio” affonda piuttosto le sue radici nel rock progressivo dei primi anni settanta. E certamente i nostri condividono con i gruppi di quel periodo più d’una caratteristica; non ultimo l’eclettismo nel coniugare elementi diversi e molteplici in un amalgama coerente e funzionale, che recupera le sonorità del passato per creare qualcosa di nuovo e personale.
E certamente “Omnio” è un lavoro in cui convivono anime diverse: prog, doom, heavy, gothic, avantgarde, psichedelia e inserti classicheggianti. Sembra impossibile che tutto questo possa essere racchiuso in un solo album, eppure ciascuna di queste componenti fa sentire il proprio peso senza pregiudicare l’armonia complessiva.
Per dare un’idea della ricchezza di influenze presenti in quest’opera, basterebbe ascoltare la prima traccia, ‘299.796 km/s’. La lunga suite si apre con una triste melodia di violoncello su cui s’innestano le chitarre, creando un senso di attesa che ci prepara al successivo climax, il primo di molti: un chorus tanto intenso quanto poetico, sul finire del quale parte un riffing metal serrato e potente. Il pezzo prosegue nei suoi oltre quattordici minuti di durata tra continue variazioni di tempo, crescendo, rallentamenti atmosferici e improvvise ripartenze. Un quadro sempre mutevole, che non da punti di riferimento all’ascoltatore, dove l’unica costante è l’indubbia sensibilità che gli artisti coinvolti riescono ad infondere in ogni passaggio.
Dall’ascolto di questa prima traccia si evincono inoltre alcuni aspetti importanti per capire il delicato equilibrio sul quale l’album si regge. In primo luogo, il suono delle chitarre è prevalentemente rock-oriented, pulito e vibrante, mentre la residua componente metal resta per la maggior parte del tempo sotterranea, per poi esplodere repentinamente in vere e proprie cavalcate all’insegna dell’heavy più classico, o in rarissime accelerazioni, in cui coloro che conoscevano “Heart of the Ages” potrebbero avvertire gli ultimi echi della ormai scomparsa componente black.
In secondo luogo, lo screaming è del tutto scomparso, ad eccezione di uno o due brevissimi episodi, per lasciare il posto al cantato in clean. Alla voce di Jan Kenneth Transeth, calda e profonda, fa da pendant il cantato femminile di Synne Diana, a tratti etereo e soave, a tratti inaspettatamente potente e incisivo, notevole anche per estensione vocale. Le linee vocali maschili e femminili si rincorrono per l’intera durata del disco, talvolta contrapponendosi, talvolta sovrapponendosi, creando un’alchimia perfetta, dinamica, non di rado commovente.
Un’altra caratteristica portante è rappresentata dagli onnipresenti inserti di strumenti ad arco, ad opera del Dust Quartet, che oltre ad impreziosire e supportare il lavoro degli altri strumenti, ci regalano alcuni dei momenti solisti più toccanti e intrisi di malinconia di tutto l’album.
Si era detto che “Omnio” rispecchia un concetto di “progressive a tutto tondo”. Ciò si riscontra anche nella marcata vocazione sperimentale e nella ricerca di soluzioni raffinate e quanto più lontane dalla banalità, dove la tecnica e la perfezione formale non rappresentano un fine, ma solamente un mezzo per evolversi e progredire, puntando a raggiungere la massima capacità espressiva. Non troverete in quest’album virtuosismi gratuiti o tecnicismi cervellotici. La struttura delle singole tracce è si molto varia e complessa, ma i riff e le melodie sono quasi sempre piuttosto semplici.
gli In The Woods… puntano, palesemente, all’enorme impatto emotivo delle loro composizioni, e a tal fine sanno far fruttare anche la forza insita nella semplicità. Mi viene in mente, tra i moltissimi esempi possibili, il riff/assolo che si trova verso la metà del settimo minuto di ‘Omnio? -pre’, che inanella le cosiddette “quattro note messe in croce”, ma riesce con minime variazioni ad esprimere una carica epica e un’intensità disarmanti.
Comunque sia, gli episodi degni di nota all’interno di un disco del genere non si contano. Ogni istante è permeato di pathos, un flusso di emozioni e suggestioni profonde in continuo divenire, che rischia quasi di travolgere l’ascoltatore; un’esperienza intima e personale, che ha molto da offrire ma pretende altrettanto. Ed è proprio questo, più che la lunghezza e complessità dei pezzi o la convivenza di così tante influenze diverse, che rende ostici i primi ascolti di “Omnio”.
Una sfida non facile per l’ascoltatore, ma che -non ho dubbi in merito- vale assolutamente la pena di sostenere. Il premio sarà scoprire, poco per volta, un’opera che una volta assimilata potrà regalarvi emozioni uniche e sempre diverse; un’opera sempre attuale, indifferente al peso degli anni e al succedersi delle mode. Credo che il termine che si usa in questi casi sia capolavoro.
Tracklist:
1. 299 796 km/s (14:46)
2. I Am Your Flesh (7:07)
3. Kairos! (3:34)
4. Weeping Willow (11:40)
5. Omnio? – Pre (12:00)
6. Omnio? – Bardo (5:55)
7. Omnio? – Post (8:09)