Recensione: Omnipresence
Secondo capitolo discografico sulla lunga distanza per i norvegesi Mindtech, buon gruppo dedito ad un heavy prog da risvolti tecnici “evoluti”, ispessiti da suoni quadrati e spigolosi che, pur non brillando per inventiva ha qualche buon punto a favore da esibire.
Il canovaccio è grossomodo facile da definire e descrivere.
Sulla base di riff solidi e martellanti in stile Nevermore, sventagliati dalla coppia Thor Axel Eriksen e Matius Belseth, si dipana una melodia dai risvolti metallici su cui si erge la voce di Mathias Indergard, piuttosto attagliato quale interprete di un genere di confine tra heavy dai contorni thrash e prog-metal come quello proposto.
Le pennellate di aperture “easy listening” percepibili di quando in quando, hanno il benefico effetto di rappresentare il proverbiale raggio di sole a squarciare una coltre di nubi plumbee. Escamotage sempre ben accetto ma certamente non nuovo in contesti similari.
Come facile da intuire insomma, i Mindtech non inventano davvero nulla, ma piuttosto si uniformano ad una serie di codici preesistenti, osservandone i dettami con una interpretazione propria che non veicola novità, tuttavia promette di essere comunque abbastanza godibile all’ascolto.
Vengono in mente, oltre ai già citati Nevermore, anche i conterranei Communic, ma pure Darkwater e Pyramaze, pur senza possedere in confronto a questi ultimi, una componente tastieristica particolarmente evidente.
In generale, quel filone di power prog venato di thrash che ha scollinato la prima decade del nuovo millennio per arrivare sino ad oggi, è l’anima preponderante che innerva le composizioni del quintetto nordico, dignitoso esponente di una scena all’interno della quale è tuttavia sempre più complicato ritagliarsi uno spazio proprio.
Ci potrebbero riuscire almeno in parte alcune sonore scorribande metalliche come “The Lotus Eye“, “Unity”, “The Journey” e “Brahman”, canzoni che viaggiano come mezzi corazzati ma che conservano al proprio interno soluzioni melodiche accattivanti ed immediate, nobilitate da ritornelli aperti e finanche orecchiabili.
Atmosfere caliginose che non abbandonano mai la narrazione proposta dal disco ma non opprimono, offrendo piuttosto una sorta di “fondale” su cui far scivolare una costante tempesta di riff arcigni ed affilati.
Non male…
“Omnipresence” è un album che si ascolta in scioltezza e si dimostra, alla resa dei conti, un prodotto di buona caratura, ben confezionato (suoni ed arrangiamenti sono di primo livello) e tutt’altro che sgradevole: per completare l’opera manca qualche schizzo di genialità.
Qualora i Mindtech dovessero riuscire ad aggiungerlo al loro songwriting in un prossimo futuro, potrebbero, in effetti, raggiungere risultati insperati.