Recensione: On The Prowl

Di Susanna Zandonà - 30 Marzo 2023 - 0:15
On The Prowl
80

Parto dalla seguente premessa: chi non capisce gli Steel Panther non capisce lo spirito del rock.
E lo dico conscia del lavoro di una band che da sempre ha fatto di insolenza e scherno, il caposaldo e la raison d’être.

Basta scorrere la lista di alcuni dei loro album oggettivamente più riusciti per rendersene conto: “Balls Out” con una bella signorina dalle palle d’acciaio in copertina o ancora “All You Can Eat (Deluxe)” , in cui i membri della band rievocano l’ultima cena con tanto di splendide signorine a contornare il menù… (in barba a chi lo considera un lavoro mal riuscito).
On the Prowl” letteralmente “a caccia”, sesto album delle Pantere d’Acciaio che ritornano con un nuovo bassista: Spyder (in seguito alla dipartita di Lexxi Foxx, avvenuta l’anno scorso), potrebbe far arrabbiare i puristi ed apparire ad uno sguardo inesperto un insieme di amenità volgarotte e sessiste che scimmiottano l’ultima decade degli 80s.

Ma attenzione è proprio tutto come appare, ovvero un puro elemento di gaudente spirito, una grottesca celebrazione attorno ad un simulacro: la riesumazione della nonna mummificata (dove la nonna rappresenta l’hair metal originario) con tanto di occhiali da sole indossati di notte.

Facciamola divertire, la nonna. Tanto è già morta! Che male c’è a metterle una ghirlanda di fiori hawaiana attorno al collo? La nonna è morta. Lunga vita alla nonna!

Gli Steel Panther sono sostanzialmente l’equivalente pesantemente sessualizzato e made in USA dei nostrani Nanowar Of Steel o la variante politicamente scorretta dei Twisted Sisters.
Bisogna quindi contestualizzare l’album per quello che è ovvero un comic metal senza precedenti, di una bassezza dei testi esagerata, in cui non mancano numerosi riferimenti all’ organo riproduttivo femminile, a pratiche sessuali particolari, all’impotenza maschile e all’ utilizzo spropositato di droghe.

Insomma, non ascoltatelo con dei bambini. O perlomeno non con bambini che capiscano bene l’american english…
Se non avete figli oppure siete disposti a smazzarli alla babysitter dopo esserli andati a prendere fuori scuola con la vostra Lamborghini Countach LP500 e i capelli cotonati e decolorati, allora è l’album che fa per voi.

Bisogna aprire le menti e fortunatamente per noi basta aprire solo quelle, per godersi sinceramente la tripletta d’apertura con: “Never Too Late (To Get Some Pussy Tonight)” traccia dallo spiccato black humor con una intro di synth che è già tutto un programma, “Friends with Benefits” coi riff di chitarra ritmici da gratuggia definibili praticamente uno standard musicale hair, passando a “On Your Instagram” struggente traccia di denuncia al fenomeno del catfishing. Sublime il passaggio che ne racchiude la vera essenza: “your skin was perfectly toned / like Michael Angelo had nothing to do”. Michael Starr si dà sempre un gran da fare nel songwriting e nell’ interpretazione di essi, dandogli sempre grossa enfasi e portando spesso anche delle analisi sociologiche degne di nota: “Put My Money Where Your Mouth Is” musicalmente banalotta e già sentita coi riff di chitarra riciclati e gli Uh! Ah! Sentiti ovunque è ad esempio una relativamente interessante riflessione sul fenomeno delle cryptovalute e sul trading finanziario su uno sfondo immancabilmente erotico di rotoli di monetine da dieci centesimi.

1987” che soddisferà a livello uditivo un pubblico nostalgico è invece un dialogo interno sui tempi andati, sempre spregiudicato, ma con riferimenti alle grandi band che hanno creato il genere: Dokken, Lynch, Ozzy Osbourne, Loudness, Van Halen

Una menzione la merita sicuramente l’ adrenalinica “Is My Dick Enough” a cui partecipa Dweezil Zappa, figlio del celebre Frank che senza nulla togliere a Satchel (chitarra) qui fa una gran scena, una chitarra che entra come la ragazza col viso da angelo e il vestito attillato che fa girare tutti i brutti ceffi vestiti in pelle del locale. Ritmica di batteria accattivante data da una validissima sinergia : Stix Zadinia alla batteria e Spyder al basso che si completano a vicenda andando a dare una sensazione di aspettativa da brivido.

Chissà se prevarrà l’ansia da prestazione oppure si andrà in buca? “Is my dick enough? / Enough for you? / Or should I call the guys in Mastodon too?” seguito da uno splendido assolo di Dweezil.

Insomma On The Prowl forse non sarà la svolta musicale degli Steel Panther, ma dovevamo veramente aspettarcela? Abbiamo di fronte un album gratificante, coinvolgente e soprattutto frivolo, quello di cui spesso abbiamo la necessità.
Come direbbe Alessandro Borghese: voto diesci!

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