Recensione: On The Wings Of Memory

Di Mauro Gelsomini - 8 Aprile 2005 - 0:00
On The Wings Of Memory
Band: Atemno
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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50

Gli Atemno giungono al terzo demo con questo “On The Wings Of Memory”, sfacciatamente impersonale e derivativo, sorprendendo chi, come il sottoscritto, pensava che il boom di quello che è stato da molti etichettato come “power/prog” fosse giunto al culmine della sua decadenza.

Invece le sette tracce di questa band proveniente dalla provincia di Perugia si rifanno proprio a quel sound che ha tentato di rilanciare tanta parte dell’heavy nostrano con trovate sinfonico-neoclassiche; sarà impossibile non notare le innumerevoli influenze del power più epico (almeno nei temi) di Manowar e Warlord, con la tastiera che da sempre, ed erroneamente, si assume il compito di rendere progressivo qualcosa che progressivo non sarà mai.
Per questo diventano esemplari “Do As You Like” e “Kill The Corrupt”, le prime vere song, che giungono dopo la banalissima e quantomai abusata “Intro”.
A gettare un barlume di curiosità e speranza ci pensa l’arrangiamento iniziale di “Stardust”, vagamente ispirato ai Rush del periodo eighties, ma la canzone non viene sostenuta dalla prestazione dietro il microfono di Lodovico Rossi, per il quale risparmierò qualsiasi ulteriore parola, limitandomi a descrivere come la sua timbrica abbastanza rude si sposi meglio con un heavy metal senza fronzoli né compromessi piuttosto che con il sound a volte ricercato che tenterebbero di proporre gli Atemno. La disastrosa performance vocale (il refrain centrale della suddetta “Stardust” è in italiano) fa addirittura rimpiangere la prolissità e scontatezza dei soli alternati tra chitarra e tastiera.
La lunga “Letter To Me” si candida a piatto forte con i suoi 10 minuti da vera e propria suite, ma purtroppo non fa altro che amplificare tutti i punti deboli della band perugina, evidenziando anche i pericolanti passaggi del basso di Emanuele Frusi (già sostituito da Marco Bonatti), colpevolmente lasciato solo quando fin’ora era stato nascosto da un mixaggio tutt’altro che professionale.
Lascerei le poche onorificenze al lavoro di Giovanni Nardi e Giacomo Cancellieri (anch’egli sostituito da Tommaso Riccardi) alle chitarre e di Alessandro Paci, che sull’incipit di “The Main Crossroad”, successivamente rovinata da errori tecnici e banalità compositive, si fanno artefici di uno spiraglio acustico vagamente folk-progressive.
Resta per ultima la titletrack, fraseggio malinconico di chitarre acustiche, che forse avrebbe concluso degnamente un demo di ben altra portata.

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