Recensione: On Thorns I Lay

Di Daniele D'Adamo - 8 Febbraio 2024 - 16:00
On Thorns I Lay
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Doom 
Anno: 2023
Nazione:
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78

Veri simboli, asseme a Rotting Christ e Septicflesh, del metal ellenico, gli On Thorns I Lay, nati nell’ormai lontano 1995, giungono al ragguardevole traguardo del decimo full-length, stavolta omonimo.

Metà degli anni novanta, quando imperversava un po’ ovunque il gothic metal. Genere che, seppure individuabile come mera influenza, accarezza ancora lo stile del combo greco che, ora, opta principalmente per una miscela di doom e death metal. Una soluzione adottata da una miriade di act sparsi in tutto il globo terracqueo e che identifica una realtà fortemente consolidata che, se dovesse continuare così, potrebbe dare vita a una nuova foggia musicale, indipendente dalle altre.

Nel caso di “On Thorns I Lay” risulta davvero arduo stabilire quale sia la componente principale. Non che ciò sia indispensabile per delieare il sound espresso dai Nostri, ma almeno sarebbe utile per farsi un’idea del sound medesimo. Il growling poderoso di Peter Miliadis, che a volte scivola nelle harsh vocals, non deve ingannare. Sì, perché un’intepretazione vocale così profondamente ancorata agli stilemi del death metal è merce rara, considerando anche la bravura del cantante, a parere di chi scrive uno dei migliori nell’ambito del metal estremo.

Ma la musica? Su questo non paiono esserci dubbi, concentrandosi a occhi chiusi per aumentare la percettività. Del death non c’è poi molto. Anzi, poco. Per sintetizzare al massimo niente aggressioni continue, niente ritmi dall’altro numero di BPM, niente riffing devastanti. Al contrario, gli On Thorns I Lay giocano su andamenti blandi, ideali per penetrare in profondità nella mente. La batteria di Stelios Darakis pesta duro, certo, ma senza l’obiettivo di maciullare le membrane timpaniche. I cambi di ritmo ci sono e sono pure tanti, tuttavia compresi nell’intervallo slow-tempo/mid-tempo.

Detto questo – e una volta osservato che il lavoro alla chitarra di Nikolas Paraskevopoulos e Christos Dragamestianos produce, oltre a una rocciosa fase ritmica, lenta e ragionata, un mondo di assoli e finissimi ceselli dai toni acuti, dorati nel loro splendore, dalla grande melodiosità – , l’idea che ci si può fare è che ci si trovi di fronte a un LP di melodic doom metal.

Un ragionamento completato dal tipo di suono che fuoriesce dagli speakers comprendente, anche, sia la presenza di strumenti del folclore popolare, sia, soprattutto, il lavoro alle tastiere da parte di Antonis Venturis. Elementi di spicco per sottolineare l’armoniosità dello stile del combo ateniese. E la sussistenza dell’aggettivo melodico. Il tutto, immerso in un mood melanconico. Non triste o depresso. No, ma languido e abissale. Un umore rappresentativo delle emozioni che fluttuano in Miliadis e compagni, le quali vengono vergte su rigo musicale con estrema bravura, preso pure atto che la loro esperienza nel campo di cui trattasi è notevole e vasta.

Tutto quanto sopra si ritrova condensato nelle sei canzoni del disco che, a parte la stupenda ‘Newborn Skies’, pregna di pathos e di sentimentalismo, sono tutte lunghe dai sette agli otto minuti. Anche questo, un segno rivelatore del doom. Che, per poter indurre l’animo di chi ascolta a divenire ricettivo al massimo, ha bisogno di tempo. Tempo ben speso, poiché le song sono di alto livello, se osservate dal punto di vista della composizione. Non solo, esse mostrano carattere e decisione giacché, malgrado la loro estensione temporale, mantengono inalterato la loro unicità, la loro personalità. Elementi decisivi affinché si possano discriminare con facilità data, appunto, una fisionomia ben dettagliata ma riconoscibile praticamente sin da subito, nel mistico viaggio che, dall’opener-track ‘Fallen from Grace’, conduce alla closing-track ‘Thorns of Fire’. Pure qui, una circostanza non indifferente, rilevato che in tal modo le tracce si differenziano con risolutezza l’una dall’altra, donando al platter una longevità non da poco.

È allora chiaro che il punto di forza di “On Thorns I Lay” siano proprio i brani, singoli universi raccolti in un universo più vasto che si identifica con l’anima, il cuore e la mente degli On Thorns I Lay.

Roba non da poco, di questi tempi.

Daniele “dani66” D’Adamo

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