Recensione: Once Bitten…
Nati dalle ceneri dei quasi omonimi The Company Of Snakes per dare alle stampe solo questo studio album (più un live praticamente introvabile), i The Snakes fanno irrimediabilmente “bingo” assoldando i servigi di Johnny Lande, ai più conosciuto come Jorn (Ark, Millenium, Malmsteen).
L’album è sicuramente il migliore dei chitarristi Micky Moody e Bernie Marsden dal loro addio ai Whitesnake, dei quali non a caso avevano conservato parte del glorioso nome. Completano la band il bassista Sid Ringsbye (
(Blonde On Blonde, Perfect Crime, Tindrum), il batterista “Wild” Willy Bendiksen (Flax, Blonde on Blonde, Perfect Crime, Bad Habitz).
Non vi aspettate un album heavy, visto che si tratta di un eccellente e dichiaratamente rock album, dal sound piuttosto moderno, tirato a lucido ma mai troppo cristallino.
Le influenze sono inevitabilmente quelle del Serpente Bianco, dopo tutto c’è un buon 50% della band di Coverdale in queste composizioni, e lo stesso Lande in questo disco somiglia sbalorditivamente al vecchio David quanto ad intonazione, fraseggio e timbrica. Si potrebbe discutere sulla creatività dei due axeman, ma se l’obiettivo era quello di ricreare quel sound che aveva fatto la fortuna dei Whitesnake, è stato raggiunto con successo, abbandonando gran parte dell’attitudine blues che aveva caratterizzato i dischi precedenti.
Si parte con l’aor armonioso e ruggente di “Labour Of Love”, in perfetto Purple/Whitesnake style, dell’epoca d’oro di “Come An’ Get It”, per intenderci. I toni si fanno più pacati con “Can’t Go Back”, che potrebbe tranquillamente far pensare a un duo Jimmy Page – David Coverdale, abbarbicata com’è a certe sonorità dei primi seventies, mentre più godibile e moderna è “What Love Can Do”, che mi ha piacevolmente ricordato i fasti dei Fair Warning e del loro pop rock. Si continua con l’inconfondibile country/blues di Real Faith, dai cori molto delicati, incisi al solito tutti da Lande, che rifà un po’ il verso a “Till The Day I Die”, dell’album Whitesnake prima citato (e a detta del sottoscritto, uno dei migliori).
Imponente “The Dancer (The Liar)”, scorrevolissima grazie soprattutto alla performance di Moody: un classico ritmo hard rock dalle influenze blues su cui Lande si diverte ad “urlare” come il Coverdale dei bei tempi, ovvero ritornellone catchy avvolto dal riffing trascinante delle chitarre.
Ancora il sano hard rock di “Ain’t Gonna Cry No More” viene rivisitato con “Gonna Find the Sun”, in cui è notevolissimo il lavoro di Ringsbye, orecchiabile quanto complesso.
La perla dell’album è costituita da “Little Miss Happiness”, che passa da un rock’n’roll mid-tempo ad un irrefrenabile ritmica Dire Straits, un capolavoro di pop rock, per me.
Ancora Deep Purple per “Bring Yo’ Good Self Home”, purtroppo da bocciare per via del ripetitivo riffing che bissa l’errore dei Whitesnake di “Medicine Man”.
Decisamente gustosa è “Shodown”, ballatona sognante ma mai melensa, unica track creditata a Lande, che dimostra le sue doti di songwriter, peraltro confermate alla grande con il suo progetto solista (Jorn). Il pezzo è decisamente Coverdale-style, riuscitissimo, ma personalmente preferisco Lande quando non si diletta in queste eccellenti repliche del grande David.
“Sacrificial Feelings” ripropone gli echi Led Zeppelin, modernizzati da un riffing e una ritmica piu’ pesanti e aggressivi. Un po’ anonima è risultata invece “Tough Love”, incapace di catturare l’attenzione dell’ascoltatore al pari dei brani precedenti.
L’edizione giapponese del CD consta di due bonus track: la prima, “All Dressed Up”, non mi è sembrata all’altezza della situazione, mentre “September Tears” è un’ottima ballad, brillante e fresca come non se ne sentivano dai tempi di “Soldier Of Fortune”. Peccato per la release europea e americana che soffrono la sua mancanza.
In definitiva direi che “Once Bitten…” è un ritorno a quelle origini che non riuscì a Coverdale con il suo “Restless Heart” (ma lì mancavano due signori chiamati Micky Moody e Bernie Marsden). Ammirerete il disco per la sua caratteristica easy listening immersa in una complessità d’arrangiamenti di gran classe, con il maestoso drumming heavy metal di Willy Bendiksen e le ritmiche pomp di Sid Ringsby. Il tutto al servizio della vera star dell’album, Jorn Lande.
Tracklist:
1. Labour Of Love
2. Can’t Go Back
3. What Love Can Do
4. Real Faith
5. The Dancer (The Liar)
6. Gonna Find The Sun
7. Little Miss Happiness
8. Bring Yo’ Good Self Home
9. Showdown
10. Sacrificial Feelings
11. Tough Love
12. All Dressed Up (bonus track)
13. September Tears (bonus track)