Recensione: Once Sent from the Golden Hall [Reissue]
Tutto ebbe inizio da qui.
“Ora, Sauron preparava la guerra contro gli Eldar e gli Uomini di Ovesturia, i fuochi della montagna vennero ridestati; e, scorgendo da lontano il fumo di Orodruin, e resisi conto che Sauron era tornato, i Númenórean diedero al monte un altro nome, Amon Amarth, cioè monte sorte.” (Il Silmarillon – Gli anelli di potere e la terza età).
Nel grigio elfico Sindarin fu forgiato il nome: Amon Amarth. A voler ripercorrere fedelmente gli eoni del tempo, due anni prima, nel lontano 1996, conobbe le luci della ribalta il demo “Sorrow Throughout the Nine Worlds” vero e proprio precursore della proposta musicale di Hegg e soci. Ma è pur vero che possiamo ritenere “Once sent from the golden hall” la scintilla che da ormai dodici anni ha infiammato il pianeta e che ha portato la musica e la mitologia norrena a picchi raggiunti in precedenza solo da Quorthon e da Bathory fino a quando, come spesso accade, i discepoli s’innalzarono superando il maestro. Prima, solo silenzio, infinito silenzio: ginnugagap.
I figli di Miðgarðr erano spesso costretti a vagare in un’oscurità densa e castrante in cui il solo genio letterario di J.R.R. Tolkien ha saputo aprire un varco fatto di luce e conoscenza, di riscoperta e di orgoglio, doti fino ad allora perse nel distratto mondo materiale. Tolkien soffiò sulla polvere della memoria, Ace Börje Thomas Forsberg aprì il passaggio e indicò la strada, gli Amon Amarth amalgamarono il tutto dando al mito forma e sostanza, costruendo strutture musicali di valore emotivo eccezionale, rifinite da testi di pura arte skaldica.
Entrare nel mondo degli Amon Amarth equivale all’essere catapultati metaforicamente in un mondo fatto di miti e di leggende, di incantesimi e ancestrali memorie. “Once Sent from the golden hall” è l’album delle mille emozioni, dei flashback, dei contrasti marcati e violenti. Un album in cui si passa rapidamente dalla violenza cieca dell’opener “Ride for vengeance” al crescendo maestoso di “The dragons flight across the waves” al lamento poetico e commovente del guerriero morente che “Without fear” chiede ad Odino di essere portato a casa, oltre il Bifröst, nel palazzo dalle cinquecento e quaranta porte. Rapidi come nel turbine infinito del tempo, ebbri di sangue e di conquiste, celebriamo il trionfo planetario della band con la possente “Victorious march”, brano dall’intro colmo di pathos pronto a deflagrare in una decisa affermazione di potere.
Non c’è ombra, né respiro. “Friend of the suncross”, “Abandoned” e la granitica “Amon Amarth” hanno la forza e l’impeto di un manipolo di berserkir che si abbatte, nudo e furente, sul muro di scudi dell’avversario, della vittima designata, di chi è stato tanto distratto o sciocco da non mettersi al riparo dalle folate di sangue ed odio con cui gli svedesi hanno infarcito il platter. “Once sent from the golden hall” fu un terremoto, un cataclismatico squarcio in un mercato diviso tra thrash bay area, true norwegian black metal, e un marasma di commercialità ad uso e consumo di una platea spesso distratta dalle troppe uscite musicali, annoiata e mortificata da gruppi e dischi fotocopia. Alla band di Hegg il merito di riaccendere la passione, l’interesse – anche con iniziative commerciali inevitabili tra cui, non ultima, troviamo questa reissue – e di far conoscere storie e leggende lontane ad un pubblico sempre maggiore, avido di conoscenza a cui, con molta probabilità, il power fatto di epiche battaglie, da guerrieri e draghi alle volte melenso ed impersonale, non bastava più. Grazie alla mitologia norrena e ad una cultura ricca di affascinati e geniali modi di raccontare la vita e la fede, l’ascoltatore ha potuto iniziare il proprio personalissimo viaggio alla scoperta di un ‘io’ interiore che, spesso, può non aver nulla a che spartire con i racconti, ad esempio, di Snorri Sturluson o le canzoni di Quorthon.
È qui che, a mio avviso, si può trovare il significato della recensione di questo doppio disco. Non è certo per sopperire a delle lacune od a delle dimenticanze, e di sicuro non per aggiungere nulla a quanto detto riguardo alle canzoni contenute nel disco. Non avrebbe alcun senso. Il senso sta nel testimoniare il ruolo di comprimari attori che gli Amon Amarth hanno avuto in una parte, nemmeno troppo sommersa è di nicchia, della cultura europea e, di riflesso, in quella mondiale. Non dico che l’ostentazione fiera del Mjöllnir sul petto di individui ad ogni latitudine e longitudine sia frutto dei dischi di questi cinque ragazzi – ne posso di certo affermare che tutti quelli che lo portano lo facciano per qualche ragione che non sia la pura emulazione – ma di certo una buona parte di “colpa” i nostri ce l’hanno: è innegabile.
La recensione vuole dire grazie a chi, volente è nolente, ha contribuito (e lo continua a fare da quei lontani anni novanta) alla crescita di migliaia di individui su questo pianeta.
La musica non è fatta di sole note: la musica è spirito, scoperta, sacrificio e sudore, sogni e speranze; la musica può essere l’unico vero mezzo di comunicazione di massa capace di unire genti e culture apparentemente distanti tra loro. E non solo: questo tipo di musica, in particolare, può far crescere l’individuo nella sua forma più intima e personale. Può fare luce sulle radici, può far prendere più cognizione di sé in relazione al mondo. O, altrimenti, può essere semplicemente il picco del death melodico svedese, sparato a tutto volume dalle casse dello stereo. Come sempre, a voi la scelta.
Daniele Peluso
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Tracklist:
01. Ride for vengeance
02. The Dragon’s flight across the waves
03. Without fear
04. Victorious march
05. Friends of the suncross
06. Abandoned
07. Amon Amarth
08. Once sent from the golden hall
09. Siegreicher Marsch (Victorious March)
Tracklist Bonus CD (live at Bloodshed over Bochum 28.12.2008)
01. Ride for vengeance
02. The Dragon’s flight across the waves
03. Without fear
04. Victorious march
05. Friends of the suncross
06. Abandoned
07. Amon Amarth
08. Once sent from the golden hall
09. Siegreicher Marsch (Victorious March)