Recensione: Once Upon A Midnight Dreary
Non sono solo le buone band italiane ad essere a spasso senza contratto discografico, benché la loro qualità tecnico/artistica sia a volte maggiore di quella di chi, invece, detto contratto lo conserva gelosamente in tasca.
Questa volta si tratta dei tedeschi Crystal Crow e del loro debut-album “Once Upon A Midnight Dreary”, uscito nel maggio dello scorso anno ma che fa parte, ancora, della categoria ‘autoprodotto’. La formazione di Karlsruhe esiste dal 2003, ma nel carniere ci sono, al momento, oltre al predetto full-length, due soli EP: “Love Again”, datato 2004, e “Unearth The Dark”, del 2005.
I Nostri sono etichettati ‘melodic death metal’, ma appare più corretto riferirsi al ‘gothic metal’. Di quello tosto, però. Senza ammennicoli, pizzi e merletti. Tipo quello che andava in voga nella metà degli anni ’90. Paradise Lost, Therion, Orphanage et similia, per intendersi.
Non che la melodia manchi, da “Once Upon A Midnight Dreary”. Anzi. Il vocalist Dirk “Whych” Binder è decisamente bravo, e si sottolinea ‘decisamente’, ad alternare fasi ove la rabbia è il sentimento predominante (growl) a segmenti in cui, al contrario, l’emotività tipicamente teutonica (Romanticismo) prende il sopravvento (clean). Una bravura che, assieme agli stupendi (“The Call”) soli della chitarra di Andreas Weßlowski, tira quasi da sola in avanti il quartetto.
Ovviamente c’è anche la sezione ritmica, da menzionare (Sebastian Müßigmann al basso e Ralf Braun alla batteria). Senza particolare enfasi, giacché svolge efficacemente e professionalmente il proprio ruolo, senza tuttavia mostrare nulla al di là della prestazione scolastica.
Discrete le canzoni, con il picco coincidente con la già menzionata “The Call”. Malgrado la produzione discografica sia minimale, lo stile del combo della Baden-Württemberg è stato sufficientemente messo a fuoco. Nulla di entusiasmante né di innovativo, ma una solida certezza su cui appoggiare le nove song del platter. Il che non è poco, comunque.
Non essendoci punti deboli né cali di tensione né riempitivi, la valutazione complessiva di “Once Upon A Midnight Dreary” non può che essere positiva proprio per la sua centrata omogeneità, continuità compositiva e, anche, per qualche episodio al di fuori dalla media, come la possente “The Beast Within”, le cui orchestrazioni ricordano, un po’, fatte le debite proporzioni, i Nightwish di “Dark Passion Play” (2007).
Promossi.
Daniele D’Adamo