Recensione: One Assassination Under God – Chapter 1
Lo avevamo lasciato quattro anni fa, con We Are Chaos, titolo che, in un certo senso, è stato quasi profetico. Già, perché Brian Warner, da allora, ha dovuto affrontare diverse vicissitudini giudiziarie per accuse molto gravi, quali abusi sessuali, stupri e torture: il tutto è partito dalla denuncia della sua ex Evan Rachel Wood, alla quale ne sono seguite altre – una storia molto simile a quella vissuta dal suo amico Johnny Depp. E sappiamo quanto poco garantista sia il mondo dello spettacolo statunitense, pronto a tagliar fuori qualsiasi artista accusato di reati gravi, ancor prima di avere una condanna – la presunzione d’innocenza è un istituto proprio di tutte le democrazie. Difatti, proprio a maggio, tramite i canali social, Marilyn Manson e la Nuclear Blast (etichetta tedesca) annunciavano il loro matrimonio, con tanto di teaser di materiale inedito, foriero di quanto sarebbe accaduto di li a breve: nuova musica avrebbe visto la luce. Un aspetto aveva colpito immediatamente, di quel breve video: la forma fisica del Reverendo, visibilmente dimagrito, probabilmente dovuto ad uno stile di vita più sobrio, scevro da tutti gli eccessi che ne hanno caratterizzato la carriera.
Così, a distanza di quattro mesi dalla pubblicazione di quel post, esce One Assassination Under God – Chapter 1, disco che si compone di 9 tracce, per una durata di quasi 45 minuti di musica. Solitamente il nuovo materiale di Marilyn Manson, è accompagnato dalla domanda “è tornato ai vecchi fasti?”. La risposta ce la fornisce Pierangelo Bertoli, con A Muso Duro: “Un guerriero senza patria e senza spada con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”. Il nuovo materiale è una grande raccolta che suona come i primi dischi, da Potrait Of An American Family fino a Holy Wood (In the Shadow Of The Valley of Death), lasciando ampio spazio a suoni più distorti ed elettrici ma rivisitati in chiave moderna, ovvero ciò che è il suo sound predominante negli ultimi anni: più cupo e tendente al dark anni ’80, introspettivo. Dovendo attribuire un’etichetta, lo potremmo definire un sapiente e consapevole mix tra rock, goth, dark e industrial, composto con grande personalità.
Si parte con One Assassination Under God, la cui intro mette i brividi – sembra quasi un sinistro carillion elettrico, e pian piano si rivela come un brano lento e potente, in cui compaiono piano e archi. No Funeral Without Applause inizia con un bel fraseggio di chitarra, malinconico e orecchiabile, che ben presto diventa distorto e accompagnato da un drumming molto convincente e incalzante. Nod If You Understand è un viaggio nel passato, le sonorità ricordano molto la prima parte di carriera di Manson – in particolare Dope Hat – con un riff ritmato e la voce distorta, pronta ad esplodere in un ritornello che rievoca Born Again. Si passa poi a As Sick As The Secrets Within, ovvero la parusia di Brian Warner: una composizione molto equilibrata, con un riff convincente che si ripete per tutta la canzone e una melodia potente, il tutto in un’atmosfera decisamente cupa, dark. Un pezzo decisamente autobiografico, che esplora il dolore profondo ed i segreti oscuri che talvolta ad esso sono collegati, a cui è facile ricondurre le vicissitudini personali e giudiziarie. Il groove di Sacrilegiuos, piacevole, riporta le lancette dell’orologio indietro, ai tempi di Mechanical Animals, a dispetto della successiva Death Is Not A Costume, dal sound più aspro e cupo e di notevole intensità. Meet Me In Purgatory inizia con un ottimo giro di basso, che va a dettarne la ritmica su cui si costruisce tutta la canzone, dai suoi comunque più diretti e minimalisti. Si prosegue con Raise The Red Flag, secondo singolo ebbro di rabbia nei confronti delle ingiustizie, anch’esso dal sound grezzo e dalla intrinseca forza che lo rendono, potenzialmente, il brano più live del disco. Chiude la triste e malinconica Sacrifice Of The Mass: una ballad che ricorda molto The Speed Of Pain, semplice, diretta, immediata, che sa molto di anni ’90, con tutte quelle versioni unplugged che tanto andavano di moda su MTV.
“Personalmente non ne posso più di luci accecanti e effetti scenici non credo che un quarantaduenne dovrebbe più correre qua e là con indosso una tutina”, disse Freddie Mercury annunciando l’addio dei Queen ai concerti. Per analogia, pensate davvero che Marilyn Manson possa ancora, prossimo ai 56 anni, vestirsi da Papa e cantare “E io sono un arcobaleno nero/E io sono una scimmia di Dio/Io ho la faccia fatta apposta per la violenza e il porno” come nel video di Disposable Teens? Sarebbe quello che la gente vorrebbe, ma non sarebbe quello che è oggi lui: e non crediate, cari lettori, che sia più facile seguire sé stessi rispetto a quello che sicuramente vi porterà lustro, fama e guadagno – perché, evidentemente, lo abbiamo conosciuto così ed è quella l’immagine che ci portiamo dietro di lui. Oggi Marilyn Manson è un artista maturo e questo viaggio, iniziato con Heaven Upside Down, è proseguito con We Are Chaos per raggiungere l’apice con One Assassination Under God – Chapter 1, che racchiude tutti i sound dei suoi lavori migliori, riadattati con quella che è la sua idea di musica oggi, tendente ad abbracciare il revival anni ’80, ma in modo decisamente più dark, cupo e oscuro. Un artista che, contrariamente a quanto molti potrebbero sostenere, non si è venduto alle major ma è più sé stesso che mai, più vivo che mai.
Ed è tornato.