Recensione: One Cold Winter’s Night
Il secondo live album dei Kamelot, One Cold Winter’s Night, dopo la parentesi di “The Expedition” del 2000, è un delizioso concerto scandinavo curato in ogni singolo dettaglio tecnico dal solito impeccabile Sasha Paeth, a testimonianza della forte interazione tra musica da studio e musica dal vivo; rapporto che negli ultimi anni si è gradatamente intensificato.
L’ultimo show meneghino, quello del Rolling Stone di Milano, impressionò in quanto professionale ed autorevole; peculiarità di una band che, al cospetto di sole trecento persone, inanellò una serie interminabile di note senza incappare nel minimo errore di distrazione e fregiandosi della palma, a detta di critica e pubblico, del gruppo power metal più in forma del momento.
Il concerto era a supporto dell’ultimo nato “The Black Halo” che si proponeva come il disco più maturo, più pretenzioso e anche il più intrigante della band; questo la dice lunga sulla rinnovata creatività del prezioso leader, l’ineccepibile Thomas Youngblood (intervista).
One Cold Winter’s Night, come naturale conseguenza, nasce da più d’una costola di suddetto disco del quale contiamo nove estratti sui diciotto complessivi. Ben tre le edizioni pubblicate: doppio compact disc, doppio DVD e l’edizione limitata contenente i quattro dischi nella confezione cartonata (ampliamente raccomandata).
La recensione che state leggendo cercherà di svelare i segreti dell’ordinario doppio cd, una versione che, presa singolarmente, farà rimpiangere coloro che non si sono accaparrati anche il DVD, tanto bella, intensa, trascinante e ricca di spunti che rimandano assiduamente al supporto audio-visivo.
L’intro è tutta italiana, Un Assassinio Molto Silenzioso apre la strada alla titletrack del pargolo osannato, The Black Halo, cantata a squarciagola da un pubblico in delirio per il beniamino compatriota, Roy Khan che, si mostra a suo agio tanto nelle parti affrontate a considerevole velocità quanto nelle più suadenti ballate, indubitabile punto di forza del ragazzo.
Il lavoro al microfono svolto da Roy ha ben altri scopi che quello di essere una mera propedeutica all’attività pratica del canto e introduce l’artista norvegese, una volta per tutte, nella dimensione che da sempre gli spetta; dimensione dove la musica vocale diviene imitazione della musica strumentale. In due parole: un maestro.
La conferma è data da Soul Society, meravigliosa escursione power metal e da The Edge of Paradise, primo estratto dell’indimenticabile Epica.
A seguire la traccia che, su tutte, merita la palma della migliore interpretazione da parte del quintetto “norvegiamericano”, una commovente Center Of The Universe, caratterizzata da un impianto armonico tematico strutturalmente semplice ma avvolgente come in nessun altro caso.
Tantissimi gli ospiti presenti, a cominciare da Elisabeth Kjaernes; a lei il compito di illuminare la successiva Nights of Arabia (la stessa che cantò sulla versione da studio contenuta all’interno di The Fourth Legacy) e poi in alto gli accendini, la splendida Abandoned è stata preferita a quella che reputo la ballata numero uno concepita dai Kamelot: Don’t You Cry. Poco male, lacrime in ogni modo garantite.
La gente che riempie il palazzetto di Oslo ci mette qualche secondo prima di capire che il successivo giro di chitarra eseguito da Thomas Youngblood appartiene all’amata Forever, nella quale Khan ingaggia un lungo duello coi presenti, vinto e stravinto dall’ugola d’oro tra gli applausi scroscianti.
Il primo dei due micidiali solo strumentali, corti e mai noiosi, appartiene al virtuoso del pianoforte, Oliver Palotai, e precede le ultime The Haunting, capitanata dalla bella Simone Simons (Epica) e Moonlight, altra perla di The Black Halo abbellita da un numero sensazionale alla chitarra offerto dallo stesso produttore Sasha Paeth.
E così, tra una hit e l’altra, si passa agevolmente al secondo dischetto inaugurato dalla potente When The Lights Are Down; è proprio su queste bordate metalliche che la produzione rende al meglio.
La musica è piena di bellezza comunicativa e a tratti intrisa di soave arroganza; i tre atti di Elizabeth rappresentano, infatti, il bastone e la carota, il sole e la luna, l’acqua e il fuoco. Tutto è il contrario di tutto nei tredici minuti del capolavoro targato Kamelot e se March of Mephisto ritorna nei territori “Tolkieniani”, spetta a Karma il compito di reintrodurci nei luoghi mistici dove il pubblico diventa l’inconsapevole protagonista.
Il secondo solo strumentale è ad opera del batterista Casey Grillo, un inarrestabile convoglio militare, e il saluto finale non poteva altro che intitolarsi Farewell, altro e ultimo cavallo di battaglia prima della struggente strumental version di Abandoned a calare il sipario.
Splendido. Un live album (contemporaneo, non vecchio trent’anni) avvincente.
Francamente non mi aspettavo un concerto così intenso, emotivo e così esplosivo, One Cold Winter’s Night non è soltanto un degno rivale dei grandissimi nomi che circolano nel panorama internazionale ma un vero e proprio best of concepito, cesellato e impacchettato tutto in una notte, nella fredda notte del leggendario Rockefeller Music Hall di Oslo, Norvegia.
Gaetano “Knightrider” Loffredo
Tracklist:
CD1
01.Un Assassinio Molto Silenzioso
02.The Black Halo
03.Soul Society
04.The Edge of Paradise
05.Center of the Universe
06.Nights of Arabia
07.Abandoned
08.Forever
09.Keyboard Solo
10.The Haunting (Somewere in Time)
11.Moonlight
CD2
01.When The Lights Are Down
02.Elizabeth (Part I, II & III)
03.March of Mephisto
04.Karma
05.Drum Solo
06.Farewell
07.Outro (Abandoned – Strumental Version)