Recensione: One For the Road
I finlandesi Rust’n Rage, dopo “Showdown” (2013) e “Tales from the Wasteland” (2018), ci riprovano con l’album “One For The Road”.
Sin dalla loro comparsa sulle scene musicali il gruppo ha professato di vivere lo stile di vita hard rock e si è dichiarato ispirato dal hard/glam/sleazy anni ‘80 (Guns’n Roses e Mötley Crüe in primis), non senza precisare che la propria produzione è da porre in posizione separata rispetto a dette influenze.
Non sono bastati ai Rust’n Rage (che in madrepatria godono di un discreto seguito) due album per convincere il pubblico internazionale di essere gli eredi di Axl Rose e soci e, purtroppo, non basterà neppure la nuova fatica che li vede entrare nella sempre più vasta scuderia Frontiers.
“One For The Road” è album che suscita sensazioni antitetiche e non convince appieno, anche se, grazie al superamento delle pecche in sede di missaggio e produzione delle precedenti uscite, segna il raggiungimento di un nuovo livello da parte della band.
Quel qualcosa che non convince del tutto non è certo da ricercare nella produzione di riff, che risultano incisivi ed elettrizzanti, né nelle prestazioni dei singoli componenti.
Paradossalmente i brani su cui il gruppo sembra puntare maggiormente, per ricevere conferma delle proprie capacità, sono quelli in cui la flessione di qualità tra strofe e chorus, non particolarmente efficaci, risulta più evidente.
L’apripista “Prisoner”, è traccia di media caratura con buon riff, buon solo, ottimo bridge e un chorus che tutto sommato serve alla scopo.
Già “Ghost Town” mostra un ritornello che, nello sforzo di piacere a tutti i costi, non risulta del tutto all’altezza rispetto al granitico riff iniziale e l’ansia da prestazione fa la sua prima vittima.
“One for The Road” risulta una ballata gradevole, sebbene troppo aderente, anche per interpretazione, allo stile country rock dei Bon Jovi.
Un riff bello carico introduce “The Future is for The Strong”, brano pure riconducibile allo stile della band di Sayreville, il cui chorus risulta orecchiabile, sebbene troppo ingenuo.
Buono l’arpeggio iniziale e il dinamico riff di “Heartbreak” che, però, inciampa nuovamente sul chorus scontato che non riesce a far completamente presa, nonostante il ricorso ad una abbondante dose di cori ammiccanti.
“Hang ‘em High” è il primo pezzo che, non volendo necessariamente dimostrare qualcosa, risulta totalmente convincente, spontaneo e coinvolgente, tirato al punto giusto e con una buona prova vocale del singer Vince che nella parte finale richiama il miglior Sebastian Bach.
“Ride on”, dopo l’inizio aperto a influenze blues, presenta l’ennesimo bel riff e un chorus che, questa volta, coglie nel segno.
“I’ve Had Enough” è un altro pezzo nello stile Skid Row che presenta momenti davvero interessanti e un solo fluente e azzeccato. Avrebbe forse giovato al brano un ricorso meno massivo ai poco originali coretti catchy.
Rialza la media “Unbreakable”, una ballad ispirata, dal respiro orchestrale, di grande semplicità ma di elevato impatto emotivo.
“The Throne” è un collage di stili hard rock anni ‘80 a partire dal riff ottenuto dalla fusione di parti delle frasi di “Use it or Lose it” dell’album “Theatre of Pain” dei Mötley e “Hot for the Teacher” dei Van Halen di 1984 e un riuscito ritornello alla Twisted Sister.
“Moving on” brilla per un riff caldo e serrato che regge il pezzo sino al ritornello che, invece, non esalta.
Anche se incarnare lo spirito glam anni ‘80 non è impresa di tutti i giorni “One for the Road” merita, comunque, più di un ascolto.
Sono sicuro che i Rust’n Rage sapranno in futuro acquisire sempre maggiore sicurezza, anche in sede compositiva, e correggere il tiro, colmando la distanza che li separa dai loro idoli.
Keep the faith!