Recensione: One Lonely Path
Longing For Dawn, One Lonely Path: un gruppo e un album che, quando si parla di grandi capolavori del funeral doom, dovrebbero venire nominati più spesso. Un album che alla sua uscita non ha suscitato l’attenzione che magari sono in grado di destare i lavori dei nomi più illustri del funeral doom: d’altra parte One Lonely Path costituisce l’esordio assoluto dei Longing For Dawn, un esordio al fulmicotone che è stato capace di catapultarli immediatamente in vetta ad un genere dove – probabilmente per via della sua stessa natura – non è facile riuscire a distinguersi e a proporre qualcosa di innovativo. Invece i Longing For Dawn, già alla loro prima uscita, riuscirono sia a sfornare un capolavoro, sia un disco capace di portare una ventata di freschezza nel genere, arrichendolo con una forte influenza dark ambient.
Certo, quando si parla di ambient mischiato a funeral doom il primo nome che viene in mente è Until Death Overtakes Me, creatura del genio Stijn Van Cauter, ma in quel caso è la componente ambient ad avere decisamente il sopravvento, mettendo in secondo piano – e a volte facendo scomparire del tutto – la componente metal. I Longing For Dawn, invece, piantano le proprie radici saldamente nel funeral doom metal più sfibrante e monolitico, e ad esso aggiungono la desolazione, il rumore, l’atmosfera e l’inquietudine tipiche dell’ambient più oscuro e claustrofobico, plasmato con la maestria che solo chi ha esperienza nel campo può possedere. Infatti Fredric Arbour, il mastermind del gruppo, ha già un passato molto attivo sia con vari progetti ambient, sia come proprietario di un’etichetta discografica dedicata a tale genere (la Cyclic Law), che ha permesso ai Longing For Dawn di godere fin da subito sia di una produzione cristallina e potente, sia di un packaging e di un artwork estremamente curati e professionali. Il gruppo, già alla sua prima prova discografica, dimostra di possedere una maturità compositiva notevole, che gli permette di creare canzoni molto lunghe riuscendo a tenere sempre costante l’attenzione, grazie ad un’ossessività ipnotica e raggelante, e grazie all’utilizzo intelligente e bilanciato della componente ambient.
Rumori distanti, indefinibili, che sembrano provenire da un tunnel sotterraneo, fanno da incipit alla prima traccia dell’album, Access To Deliverance. Le chitarre irrompono, lente ed angoscianti, per tessere le loro melodie prive di speranza, supportate da una batteria che scandisce i tempi di questa marcia funebre in modo cadenzato e possente; la tastiere, onnipresenti ma mai invadenti, definiscono l’atmosfera donando un’inaspettata ariosità alla composizione, come se a sovrastarci ci fosse un cielo plumbeo, un orizzonte impenetrabile nella sua grigia oscurità, e come se ad accarezzarci ci fosse un vento gelido ma placido. Pochi minuti dopo l’inzio della canzone facciamo la conoscenza del growl potente ed espressivo di Stefan Laroche, che ci regala un’interpretazione carica di emotività, in grado di coinvolgere profondamente l’ascoltatore per tutta la durata dell’album con le sue urla disperate e con sporadici versi recitati in voce pulita. Le rassegnate melodie di Lethal, la seconda traccia, sfociano invece in un lungo intermezzo ambient, che si fa largo senza soluzione di continuità nello lo svolgersi della canzone e ci trasporta sulle sue ali verso i lidi del nostro subconscio, prima che le chitarre e il growl, improvvisamente, ci riportino con forza alla realtà. La successiva Total Absence of Light, per la sua prima metà, non ci dà respiro con la sua pesantezza, mentre nella sua seconda parte ci spiazza con atmosfere spettrali, eteree, sottilmente inquiete. Ashes of Innocence si apre con una struggente chitarra acustica, accompagnata da soundscapes ambient sognanti, desolati, destabilizzanti, ai quali si aggiunge poi la batteria ed infine la voce pulita di Laroche, che col suo tono rassegnato ci introduce in questo epico viaggio verso il vuoto, prima di tramutarsi in growl in un’escalation di drammaticità che raggiunge il suo culmine negli ultimi minuti della canzone. La conclusiva One Lonely Path, coi suoi soli cinque minuti di lunghezza, sembra quasi un’outro, soprattutto se paragonata alle precedenti tracce, tutte di durata superiore ai dieci minuti; un finale che rappresenta una breve summa di quanto ascoltato finora, il saluto di chi ci ha condotto in un onirico viaggio ai confini della nostra mente.
One Lonely Path dei Longing For Dawn è un album maestoso, imponente nella sua pesantezza sonora ed emotiva, e merita una votazione leggermente più alta del suo successore A Treacherous Ascension non perchè quest’ultimo sia qualità inferiore (tutt’altro, essendo anch’esso un disco eccezionale), ma perchè il loro primo platter possiede la carica innovativa e la freschezza tipica degli album che per la prima volta propongono qualcosa di nuovo nell’economia di un genere musicale; One Lonely Path è una piccola grande pietra miliare della storia moderna del doom, che ha fatto conoscere il talento di una band che ha saputo dimostrare, anche con le sue successive evoluzioni, di avere la stoffa che contraddistingue i grandi gruppi.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – Access To Deliverance (10:22)
2 – Lethal (13:06)
3 – Total Absence of Light (11:31)
4 – Ashes of Innocence (13:54)
5 – One Lonely Path (4:48)