Recensione: One Shot
Ecco.
Una recensione difficile.
Di quelle che ti lasciano parecchio a pensare e che, più ci ragioni, meno sai come affrontarle.
Partiamo dal principio.
“One Shot” è il primo disco solista di Ronnie Atkins – al secolo Paul Christensen – storico ed eccellente frontman degli irrinunciabili Pretty Maids, band danese con la quale molti frequentatori di queste pagine avranno probabilmente buona familiarità.
Primo disco che, ahimè, potrebbe essere anche l’ultimo.
Purtroppo, non per una casuale estemporaneità del progetto, destinato a rimanere un unicum nella carriera di un artista affermato che, per precisa volontà, predilige rimanere all’interno della band madre. Ma piuttosto perché, un destino beffardo ed ingeneroso ha deciso diversamente.
Non è notizia recente, infatti, quella riferita alla grave malattia che il buon Atkins sta affrontando, grave al punto da mettere in dubbio lo stesso futuro del singer nordico.
Arrivati sin qui, sarebbe quindi sin troppo facile lasciarsi andare ad un po’ di malinconia, osservando questa prima opera solista attraverso il velo uggioso che inevitabilmente gli si lega addosso nel profondo. Sarebbe troppo facile, sin anche scontato, definirlo come una sorta di disco d’addio. Un ultimo saluto alla platea dei propri fan.
Succederà comunque: è un pensiero inevitabile.
Preferiamo tuttavia lasciare da parte per qualche momento la dura realtà, per discorrere – francamente – dei soli aspetti musicali e di quello che si prospetta come un buonissimo (a tratti ottimo) cd di hard rock melodico. Un album che i fan dei Pretty Maids apprezzeranno senza remore e che potrà piacere grossomodo a tutti gli amanti delle sonorità a loro da sempre ascritte.
La traccia è ben definita e netta: lo stile della band madre rimane marcato e riconoscibile. Del resto, quarant’anni di carriera spesi all’interno di un unico gruppo contribuiscono inevitabilmente a costruire una sorta di marchio di fabbrica inequivocabile.
Una differenza nemmeno troppo sottile, è da ricercare tuttavia in una maggiore propensione all’orecchiabilità. Ne fanno le spese le asperità molto “heavy” che avevano caratterizzato la produzione dei Pretty Maids degli ultimi anni, in perenne bilanciamento tra asprezza e melodia facile.
Più easy listening, radiofonico ed accessibile, “One Shot” è, infatti, un album fatto di suoni talora vicini all’AOR, riconducibili in parte alla produzione “mediana” dei Maids.
Quella segnata da ottime uscite come “Spooked“, “Scream” e “Carpe Diem“, dischi che mescolavano qualche chitarra spigolosa a corposissime dosi di cori e ritornelli aperti ed ariosi.
Così è per “One Shot“: una selezione di brani che riporta Atkins nel cuore degli anni novanta, mettendo in fila un bel po’ di hookline che hanno proprio nei ritornelli e nella facilità d’ascolto la base fondante e primaria.
Aperto da un pezzo come “Real”, la valutazione è presto fatta. Stile riconoscibile ma parecchia voglia di offrire un cd prima di tutto gradevole, che possa piacere al primo colpo.
Che possa, ahimè, “salutare” il pubblico con parecchi sorrisi, alcuni messaggi comunque positivi, accomodanti e soprattutto una elegante versione dell’hard rock che ha rappresentato per anni il cavallo di battaglia di un ottimo frontman e della sua band. Caratteri ben chiari, seppur innervati da un malcelato velo di malinconia.
Le canzoni veloci, scorrevoli, immediate si susseguono agili e sollecite in rapida sequenza: “Scorpio“, “Subjugated“, “Frequency of Love”, “I Prophesized” vanno dritte al punto, concedendo tantissimo ad un melodic rock di grandissima classe, arrangiato molto bene e suonato in modo magistrale da ospiti illustri ed alcuni dei componenti stessi dei Pretty Maids. Chris Laney in testa (impegnato anche come produttore).
Ci sono poi alcuni picchi. “One by One” è uno di questi: il classico ritornello che si pianta in testa e si fa cantare immediatamente. Un po’ come “Before the Rise of An Empire” e “Picture Yourself“, momenti altrettanto rimarchevoli e ben confezionati, ricchi sia dal punto di vista strumentale che in termini di testi e profondità del messaggio proposto.
“Miles Away” è invece, un pezzo che fa quasi “male”. Impossibile non percepire l’atmosfera di un addio prossimo a consumarsi, suggellato da un sorriso amaro ma sereno e da un’armonia avvolgente ed un po’ nostalgica.
Con il mid tempo di “When Dreams are not Enough” si chiude un album inevitabilmente significativo ed importante per tutti coloro che hanno in qualche modo amato i Pretty Maids.
Avrebbe potuto essere un loro cd (quasi) in tutto e per tutto. Evidente tuttavia, l’intento di lasciare la scena e la luce dei riflettori solo per Ronnie Atkins, concedendo allo storico frontman l’opportunità di sviluppare alcune sue idee rimaste sinora inespresse.
Una forma di rispetto probabilmente, nei confronti di chi sta attraversando un periodo davvero duro e difficile, del quale non è possibile conoscere l’epilogo.
Un bel disco in sostanza. In senso assoluto.
Volutamente non originale, per nulla fuori da schemi conosciuti, a suo modo tradizionale.
Rinforzato però dal talento di un artista che tutt’ora dimostra una voce impeccabile e riesce ad emozionare con semplicità, mettendo a frutto tantissimi anni di carriera.
In cuor nostro ci augureremmo di ritrovare Atkins quale protagonista di molti altri album. Siano essi dei Pretty Maids o, come in questo caso, griffati da solista.
Se così non fosse, “One Shot” sarà stato comunque un modo significativo, elegante, garbato, piacevole – ancorché agrodolce – di dirsi arrivederci.