Recensione: One Step Over The Line
Dopo un album di buonissimo valore, edito nel 2010, il progetto denominato First Signal – episodica unione del vocalist degli Harem Scarem, Harry Hess (all’epoca “disoccupato”) e del pluridecorato producer Dennis Ward – pareva essere destinato a restare un “unicum” nella storia del sempre prolifico universo del rock melodico.
Una collaborazione estemporanea, per Hess, buona al fine di tener calde le corde vocali in attesa di un rientro in scena della band madre, per Ward, utile nel maturare l’ennesima esperienza di una carriera lunga e fruttuosa, sfociata in un disco comunque più che soddisfacente e molto ben accolto da critica ed audience.
Tuttavia, nulla più che un semplice divertissement.
Se del buono è stato fatto, perché non riprovarci?
Avrà pensato Hess insieme agli inesauribili vertici di Frontiers, sempre all’erta nel lanciare l’assist perfetto a favore di artisti di merito, desiderosi di proporre qualche nuovo prodotto di qualità.
Ed ecco che, a sei anni di distanza (più o meno) esatti, la storia si ripete, arricchendosi di un nuovo capitolo, certo inatteso, quanto indubbiamente gradito.
Ed il buono, nemmeno a dirlo, c’è anche questa volta. Anche se, va sottolineato con largo anticipo, in misura inferiore rispetto all’esordio, folgorante collezione di brani decisamente più ispirata e “fluida”.
Voce come sempre perfetta – quella mistura roca dai toni vellutati che è carattere peculiare di Hess – insieme ad un livello di suoni (questa volta ad opera dell’altrettanto illustre Daniel Flores) e ad una facilità d’ascolto spinti al massimo.
Songwriting che spazia dall’hard rock di matrice eighties, all’AOR più zuccheroso, sostenuto da musicisti di assoluta professionalità.
Eppure, un risultato in qualche misura meno brillante di quanto proposto nel 2010: un che di ripetitivo che aleggia fastidioso, qualche canzone che sa davvero di già sentito ed alcuni ritornelli ribaditi troppo a lungo, le zavorre di un cd che non potrà in alcun modo essere definito poco piacevole. Tuttavia, se paragonato al predecessore e ad alcune delle recenti uscite di settore, costretto a recitare una parte non esattamente di primo piano, quanto piuttosto il ruolo di buon outsider cui però non riservare i plausi dovuti alle uscite top.
Intendiamoci “One Step Over The Line” è tutto fuorché un album dozzinale o mal confezionato: i momenti efficaci sono presenti in discreta quantità e le melodie da AOR Heaven sono ricercate con costanza. Tuttavia, la sensazione di un eccesso di cliché e di una sovrabbondanza di stereotipi si fa spesso ingombrante, favorendo la mancanza di freschezza e dissipando – nel giro di pochi ascolti – l’effetto magnetico di un disco che non risulta così capace di durare molto a lungo.
Anzi, destinato a concentrare la propria forza nell’arco limitato dei primi passaggi in stereo.
Brani come l’opener “Love Run Free” e “Broken” piacciono senza colpo ferire: solari, cristallini, dagli esaltanti toni estivi che ben si addicono ad un viaggio vacanziero.
Già dal lento “Stll Pretending“ ecco però manifestarsi un inequivocabile effetto deja-vu che richiama in causa quanto fatto anni addietro dagli Harem Scarem, seguiti da un qualche migliaio di altre band in giro per il pianeta. Il risultato è, ahinoi, parecchio stucchevole e ridondante. In una parola “strasentito”.
Argomenti che potrebbero essere spesi, anche se su tonalità differenti, pure per “Love Gets Through” e “She is Getting Away”, canzoni che partono con il turbo per poi – dopo aver messo in mostra una bella idea iniziale – avvitarsi su se stesse, perdendosi come un fuoco artificiale che non riesce ad andare troppo alto nel cielo.
Molto meglio invece, il pop-rock di “Kharma” (effetti notturni decisamente fascinosi) e la sveltezza di “Minute Of Your time”, pezzo che sembra ricordare un po’ i label mate Find Me.
Con un manifesto grosso così che recita “outtakes degli Harem Scarem”, si susseguono poi “December Rain”, “Weigh Me In” e la title track “One Step Over The Line”, tracce buone ma non eccellenti, che paiono davvero essere estratte dalla produzione “minore” degli Scarem. La più convincente “Pedestal”, episodio veloce alla Eclipse (altra band compagna d’etichetta) che si fa apprezzare per un ritornello davvero riuscito, chiude un lotto di canzoni senz’altro piacevoli seppur mai destinate a toccare, nemmeno di striscio, la grandezza dei primi Harem Scarem o la bontà del disco d’esordio degli stessi First Signal.
Non si adontino, insomma, i fan più accesi di Harry Hess e degli Harem Scarem, immediatamente pronti ad incensare la nuova fatica del loro beniamino sin dalle prime ore successive all’uscita del disco.
“One Step Over The Line” è un buon prodotto AOR: un disco di “mestiere”, che potrà offrire piacevolissima e disimpegnata compagnia per qualche tempo.
L’eccellenza e l’estro superiore, sono però altra cosa.