Recensione: One Ticket To Paradise
A due anni di distanza dal primo, riuscitissimo disco, tornano alla ribalta delle cronache musicali gli Hungryheart, con il loro secondo lavoro dal titolo “One Ticket to Paradise”, per soddisfare l’esigente palato dei fedelissimi dell’Hard Rock melodico.
Il CD, prodotto e arrangiato da Mario Percudani, edito da Tanzan Music, è stato registrato presso il Pacific Studio di Codogno, mixato da Alessandro Del Vecchio presso l’Hit Factory Studio e masterizzato da Michael Voss (Mad Max) presso il Kidroom Music Studio in Germania. Il nuovo disco – rispetto al precedente – registra un cambio di formazione con due new entry, rispettivamente Steve Lozzi al basso e Paolo Botteschi alla batteria, che affiancano lo “zoccolo duro” formato da Mario Percudani e Josh Zighetti. La band, nella realizzazione delle tracce, ha fruito d’illustri collaborazioni, che rispondono ai nomi di Alessandro Del Vecchio (del quale risulta impossibile citare l’intero curriculum, per motivi di spazio) e di Nicolò Fragile (Gotthard). Tutte le canzoni sono state scritte da Mario Percudani, eccetto “Angela” e “Just a little closer” (opera dell’intesa congiunta fra Percudani e Zighetti), nonché la celebre cover di jacksoniana memoria “Man in the mirror”.
Fatta questa doverosa premessa introduttiva, accendiamo senza ulteriori indugi il nostro lettore e tuffiamoci nell’ascolto.
“Stand Up” si apre con un’intro pomposa e con il coro di classico stampo AOR, che costituirà la falsariga ricorrente di tutta la canzone. Molto immediato e “easy”, questo esordio rappresenta un’inequivocabile ripresa del discorso incominciato nel 2008 con “Hungry Heart”: familiare e allegro, spontaneo e riconoscibile, così da imprimersi subito nella mente grazie a cori ben articolati e a raffinate linee melodiche.
“One Ticket To Paradise” parte spedita, con batteria e basso seguiti dalla chitarra, che prepara il terreno per un cantato particolarmente grintoso e “sporco”. Il sound è tipicamente ottantiano in questa title-track così dinamica e trascinante, che rallenta a metà del suo cammino per dare spazio a un assolo di grande tecnica e spessore, lineare e fluido com’è nello stile di Percudani.
Con “Let Somebody Love You” arriva il momento della ballatona, sospirata e intensa, e giustamente anche un po’ ruffiana. Le voci si alternano con eleganza su una trama intessuta da sapienti arpeggi, per culminare con il groove del ritornello, dalle tonalità volutamente graffiate e ruvide; Josh dimostra, forse qui più che altrove, di saper cantare con l’anima, il che costituisce la trasposizione in studio della sua attitudine on stage.
“Boulevard Of Love” si distingue per la ritmica piuttosto sostenuta e un po’ “street”. Improntata sulla migliore tradizione AOR, propone schitarrate robuste e cori spensierati che fanno da contrappunto a un’altra vigorosa performance vocale di Zighetti.
A questo punto si rallenta con “A Million Miles Away”, episodio un po’ atipico rispetto all’economia del disco. Il brano è contraddistinto da un drumming ricercato e accordi che restano come sospesi, in attesa di legarsi al ritornello che conferisce la fisionomia definitiva al pezzo, comunque più discreto e pacato rispetto alle altre tracce.
“Angela” irrompe con un riff molto incisivo, che detta il ritmo per quella che sarà la struttura di questa canzone, di natura smaccatamente “old school”, con un assolo chitarristico che evidenzia un suono bello grosso e spesso, e i cori che si fissano nella memoria.
In “Love Is The Right Away” il suono coinvolgente del dobro evoca un’ambientazione country-western. Questo momento delicato e piacevole, di grande feeling, fa tirare il fiato per qualche istante, in attesa della brusca accelerata imposta dal brano successivo, al quale questa traccia è collegata (senza pausa), con buon senso di amalgama e indovinata continuità.
“Let’s Keep On Tryin’” assume una connotazione Hard Rock, direi quasi Metal nei prepotenti riff che accompagnano la voce di Josh, qui particolarmente grintosa e decisa. Senza dubbio si tratta del pezzo più variegato e originale del disco.
Con “Just A Little Closer”, si torna al marchio di fabbrica che ha fatto conseguire il meritato successo al primogenito degli Hungryheart, specialmente al di fuori dei patri confini (viste le vendite che il primo album ha registrato soprattutto negli U.S.A.). Si tratta di una ballad piuttosto energica che rientra nel cliché della specie, un po’ alla Bon Jovi per intenderci. In questa circostanza Josh Zighetti dà il meglio di sé valendosi della sua timbrica ammiccante, e pare quasi di vederlo sul palco, con il suo sorriso sornione e le braccia allargate a mo’ di gabbiano, come se volesse invitare il pubblico a spiegare le ali della fantasia per seguirlo nel suo volo immaginario!
Anche “Get Lost” strizza l’occhio alla vecchia scuola, con cori incisivi e orecchiabili, un assolo molto pulito, di gran gusto, e un refrain assai accattivante.
La profonda “Man In The Mirror”, interpretata in modo caldo e un po’ sofferto, si innesta anch’essa nel contesto di un AOR di prima qualità, e trasmette forti emozioni già al primo ascolto.
“You Won’t Be Alone” è una dolcissima ballad, prettamente acustica, di grande intensità e suggestiva atmosfera, ben costruita, caratterizzata da un assolo “unplugged” molto discreto e soffuso, che chiude il CD nel segno del feeling, con immensa soddisfazione, oltre che dell’apparato uditivo, anche della sfera emotiva.
L’ascolto di questo secondogenito della premiata ditta Percudani/Zighetti lascia dunque nelle orecchie e nell’anima ottime sensazioni, in quanto conferma quanto già era emerso in “Hungry Heart”, rispetto al quale, forse, “One ticket to Paradise” appare di minore immediatezza, nel senso che richiede un ulteriore ascolto per farsi apprezzare in pieno nei suoi contenuti e nelle sue sfumature più intime.
La band si ripropone sempre fedele alla linea, ma con rinnovata ed evidente freschezza di toni; gli schemi compositivi risultano di grande spontaneità e impatto; il sound è assai curato, con tutte le sue componenti ben bilanciate, evidente conseguenza di una produzione attenta e precisa. Il risultato, omogeneo e coerente pur nella sua versatilità, è la summa degli influssi prodotti dalle band di un passato più o meno recente, nella misura in cui le note riecheggiano di reminescenze che si rifanno ai maestri del genere (Danger Danger, Tesla, Bad English, Mr. Big, Europe, Whitesnake, tanto per citarne alcuni).
“One ticket to Paradise” è un prodotto eccellente, frutto della passione e delle doti indiscusse di questi paladini dell’AOR nostrano. Il dolce sapore che pervade il palato di intenditori e semplici amanti della buona musica è appena disturbato dall’amara considerazione che i nostri eroi – stando ai volumi delle vendite e alle date dei tour (nella fattispecie: Germania, Olanda e Inghilterra) – sembrano raccogliere il meritato successo più all’estero che nel nostro Belpaese, dove certa musica sopravvive grazie allo spirito e al cuore, non certo per l’attenzione dei media o per gli interessi commerciali che muovono le masse. Non siamo più nei gloriosi anni 80 (mai abbastanza rimpianti), e questo è un fatto; però, la soddisfazione più gratificante per noi “grandi spiriti”, irriducibili amanti del Rock genuino, è che durante i concerti degli Hungryheart potremo sentirci tutti accomunati dall’immancabile abbraccio fraterno di Josh, che col suo sorriso ispirato e sincero pare dirci: “You won’t be alone”.
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Tracklist:
01. Stand up
02. One ticket to Paradise
03. Let somebody love you
04. Boulevard of love
05. A million miles away
06. Angela
07. Love is the right way
08. Let’s keep on tryin’
09. Just a little closer
10. Get lost
11. Man in the mirror
12. You won’t be alone
Line up:
– Josh Zighetti – Voce
– Mario Percudani – Chitarre / Cori
– Steve Lozzi – Basso
– Paolo Botteschi – Batteria