Recensione: One who Points to Death
Nati nell’ormai lontano 1986 i canadesi Infernal Majesty arrivano solo ora al loro quarto album, se si esclude un live datato 1998, con questo “One who Points to Death”. Purtroppo devo subito dire che a mio parere la band canadese non è riuscita nemmeno con questo nuovo disco a raggiungere i picchi dell’esordio “None Shall Defy”, album di culto per tutti gli amanti di quello che negli anni ’80 veniva definito Thrash/Death, ma bisogna anche ammettere che questo nuovo lavoro ha comunque delle buone carte da giocare, a cominciare dall’iniziale “Death to Heaven”, aperta da un riff davvero violentissimo, così come violentissima è tutta la canzone, giocata tutta su riff velocissimi e rallentamenti spaccaossa.
Sfortunatamente il gruppo non riesce a mantenere un livello qualitativo costante, e tutto il disco è caratterizzato da alti e bassi, se infatti risultano convincenti canzoni come “Pestilential Eternity”, altra bordata in bilico tra Thrash molto europeo come impostazione e Death americano, “Honey Tongue of Satan”, in cui la band sfodera dei mid tempo davvero rocciosi e coinvolgenti, grazie anche a dei riff di chitarra davvero azzeccati, così come davvero ben fatte mi sono sembrate le linee vocali di un cattivissimo Chris Bailey, “Cathedral of Hate”, altro brano in cui il gruppo si muove su ritmi non molto veloci, ad eccezione dello stacco centrale, risultando davvero possente anche in virtù di intrecci vocali davvero ben riusciti, e “Virgin Blood Tastes Purest at Night”, secondo me la traccia più riuscita del disco, grandi riff, un ottimo groove che rende impossibile tenere ferma la testa e una linea vocale davvero molto bella rendono questa canzone davvero un piccolo capolavoro del genere.
Purtroppo però come dicevo prime non sono tutte rose e fiori, infatti, alternate alle buone composizioni di cui ho parlato sopra, ci sono brani che risultano piuttosto noiosi e scontati, come “Angel and Acid”, violenta ma davvero troppo banale, “Hysterion Protector, per cui vale il discorso appena fatto per la canzone precedente, e la title track “One who Points to Death”, dove qua e la spunta qualche buona idea, ma nel complesso mi è sembrata piuttosto piatta e noiosa.
I suoni sono secondo me uno dei punti di forza di questo disco, potenti e molto “caldi”, forse non perfetti come siamo purtroppo abituati al giorno d’oggi, ma in grado di dare qualche sensazione senza quell’alone di fredda perfezione che pervade a mio giudizio molte delle produzioni attuali.
Tecnicamente la band non è niente di che, tutti i musicisti sono ampiamente nella media, ma nessuno di loro eccelle particolarmente, un gradino sopra a tutti metterei solo il batterista Kris Deboer, una vera e propria macchina da guerra musicale.
In conclusione posso dire che questo ritorno sulle scene degli Infernal Majesty potrebbe essere un buona cosa per gli amanti delle sonorità estreme degli anni ’80, dopotutto il loro stile non è cambiato di una virgola nel corso degli anni, di sicuro senza qualche calo di tensione questo disco sarebbe stato davvero una bomba, per come stanno invece le cose si tratta “solo” di un buon album che farà la gioia dei Thrasher più incalliti.