Recensione: Onward To Annihilation
Ci sono formazioni che, nell’ombra – o meglio nel più profondo underground – , sfornano dischi su dischi senza balzare mai, o quasi, all’onore delle cronache.
Malgrado ciò, pare proprio che esse non perdano mai l’originaria determinazione e la passione per la musica. Come nel caso degli statunitensi Abominant che, con “Onward To Annihilation”, raggiungono il ragguardevole traguardo di dieci full-length in vent’anni di carriera.
Una carriera passata a respirare le sulfuree atmosfere del death metal il quale, nel 1993, non aveva certamente le ramificazioni attuali, fisso com’era su un meccanismo relativamente giovane che prendeva le misure dai progenitori black e thrash. Gli Abominant, quindi, per abbozzare la loro musica non possono che partire da una solida base arcaica, disegnata dagli stilemi fondamentali dettati dai primi esploratori del territorio death. Al contrario di tanti altri, però, essi non hanno bloccato la propria evoluzione sulle stesse metodologie compositive – fatto che, via via, ha definito l’‘old school’ – ma hanno anzi proseguito su un cammino artistico del tutto personale, magari affinando la tecnica esecutiva e attingendo solo minimamente da altre realtà stilistiche. In direzione di un moderno death metal che, a ben vedere, può definirsi come ‘true’. Giacché, seppur ottimamente calato nel 2013, mantiene inalterato al 100% il flavour che permeava il genere stesso nella prima metà degli anni ’90.
E, fra gli ‘altri’ generi, un posto rilevante pare ce l’abbia l’hardcore. Ma non quello americano come si potrebbe supporre. Bensì, quello inglese. Quello da cui pescano a piene mani bombardieri tipo Lock Up e Anaal Nathrakh. Certamente i Nostri non raggiungono i livelli di abominio sonoro del citato duo, anche se nei momenti più intensi (“We Are Coming”) la violenza dei blast-beats è tale da creare quel caratteristico senso di vertigine da iper-velocità che solo i migliori interpreti dell’estremo sanno generare. A ciò, peraltro, occorre sommare più di un accadimento ove è chiara la sagoma del retroterra heavy metal posseduto da Mike Barnes e i suoi compagni. Soprattutto Mike May, il bassista, pare essere legato da un filo tanto indissolubile quanto spesso a mostri sacri del genere-madre tipo Steve Harris, particolarmente quando la band s’infila in qualche anfratto melodico (“Conquerors Of Dust”).
Nonostante queste due evidenti influenze (hardcore ed heavy metal), però, il combo di Elizabethtown mantiene una più che degna personalità. Magari non così baciata da rigurgiti di originalità, ma senz’altro apprezzabile in un campo – quello del death – dove sono troppi gli ensemble che si somigliano fra loro. A sostegno di ciò, “Onward To Annihilation” mostra una buona varietà, composto com’è sia da attacchi diretti alla giugulare (“Left To Rot”, cover degli Hypocrisy da “Penetralia”, 1992), sia da movimenti più articolati e complessi (“Legions Of Hell”). Giungendo a lambire addirittura lo speed metal à la Agent Steel et similia (con tanto di acuti tipo John Cyriis, sic!) in “Hold Your Ground”, must da battaglia per incendiare anche i più freddi pit.
Con tutto questo, “Onward To Annihilation” è un lavoro consigliabile a tutti gli amanti del death – compreso i relativi sottotipi – ma non solo. Gli Abominant hanno tanta esperienza e sono portatori di altrettanta abilità esecutiva. Un’act di spessore, insomma, per questo potenzialmente gradito anche a chi orecchia il death metal di rado. Manca un po’ di talento nel songwriting, invece. Il quale, seppur corretto nella forma, alla lunga non riesce a ‘costringere’ l’ascoltatore a reiterare i passaggi del disco. Un peccato, poiché una buona dose di vivacità compositiva sarebbe proprio la ciliegina sulla torta che, al contrario, manca. E che, in un certo qual modo, spiega esaurientemente – almeno a parere di chi scrive – la questione posta più su, all’inizio.
Daniele “dani66” D’Adamo
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