Recensione: Opening Act
Nonostante vengano dalla Scozia, gli Abandoned Stars hanno un’anima internazionale: la sezione ritmica proviene dalla terra dei kilt e delle cornamuse, ma il cantante è francese e il chitarrista italiano. Si tratta di un interessante crogiuolo per una band che, dopo solo due anni dalla nascita, giunge già all’agognato EP di debutto avendo dalla sua parte un buona reputazione ottenuta in sede live. Il quartetto tenta di imporsi sulla scena internazionale, facendosi largo con un progressive rock dalle venature pesanti, influenzato da grandi nomi come Yes, Rush e Dream Theater. Il disco viene distribuito in un gradevole cartonato incentrato sui toni del viola che, pur non facendo gridare al miracolo creativo, non lascia l’amaro in bocca. L’abito non fa il monaco e quindi non resta che analizzare quello che la prima fatica degli Abandoned Stars ha in serbo per noi.
La dissonante apertura di Beyond Reason accumula pressione in maniera costante prima di esplodere e fare spazio a un brano piuttosto graffiante, caratterizzato da riff massicci scanditi da possenti rullate di batteria. Lo sviluppo è piuttosto lineare, con una struttura uniforme che accosta crescendo energici a episodi più lenti ma intensi. Le atmosfere sembrano mutare con l’arioso incipit di Follow Your Hearth; in realtà, Hodge continua a percuotere il suo strumento con vigore mentre gli altri musicisti si adagiano placidi su un letto di tastiere. Il quadro complessivo è molto veloce e gli strumentisti si danno da fare, senza tuttavia rinunciare alla melodia.
Il brano strumentale centrale appare particolarmente gradevole grazie anche alla chitarra di Schiavone che si inerpica su geometrie sonore accattivanti, lasciandosi accompagnare nel suo viaggio dai compagni muscisti, in una progressione inarrestabile che trova il suo apice nella cavalcata conclusiva. La terza traccia, Sealing My Fate, ha un approccio più maestoso e prosegue lungo la strada dell’alternanza ritmica con i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni, condite da riff variopinti e fraseggi ben costruiti, seppur non troppo elaborati. L’EP si conclude con Against the Tide: dopo un’introduzione elettronica, veniamo scaraventati in un mondo di bassi pulsanti e sonorità acide e distorte, in cui gli strumentisti si dedicano con zelo a creare una fitta trama armonica. All’improvviso ci troviamo a galleggiare rilassati e sognanti nell’etere, abbracciati da un momento di benessere interiore che ci fa arrivare impreparati quando le sonorità si inaspriscono nuovamente e le linee sonore tornano a ispessirsi, ricongiungendosi idealmente alla parte iniziale del brano, per poi lanciarsi nello strumentale epilogo dell’EP.
Opening Act è un disco discreto; sebbene stenti un po’ a carburare, ha degli episodi felici che riescono a minimizzare i momenti più farraginosi e risollevare il quadro complessivo. La produzione è ben curata e traspare notevole attenzione per i dettagli da parte del quartetto scozzese. Purtroppo, non sono tutte rose e fiori: in alcuni passaggi, la struttura musicale tende a diventare troppo banale e si ha la sensazione del “già sentito”. Si tratta però di difetti comuni soprattutto tra i giovani gruppi che devono ancora delineare il proprio stile con maggiore precisione. Le premesse per un buono sviluppo di questa band ci sono tutte: abbiamo musicisti competenti, buone idee e voglia di fare. Restiamo in attesa di una crescita artistica del quartetto che, se vorrà emergere nell’affollata ressa della scena progressive, dovrà darsi da fare anche per rafforzare maggiormente la propria personalità.
Damiano “kewlar” Fiamin
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Tracce
Beyond Reason (5.55)
Follow Your Hearth (6.33)
Sealing My Fate (5.47)
Against the Tide (11.30)
Formazione
Tony Hodge – Batteria, tastiera
Peppe Schiavone – Chitarra, tastiera
Olivier Hadder – Voce
Leen – Basso