Recensione: Opera

Di Gianluca Fontanesi - 20 Agosto 2024 - 0:42
Opera
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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86

Se c’è una cosa che i Fleshgod Apocalypse conoscono benissimo è la sfiga, ma la differenza tra loro e il resto del mondo è che questi ragazzi hanno la capacità di trasformare tutto il negativo in oro. La storia recente inizia il 21 agosto 2021 (strano che la data di uscita di Opera sia il 23 e non, appunto, il 21), giorno in cui Francesco Paoli, durante una scalata sul Gran Sasso, si fece parecchio male. Fratture multiple, ben due interventi chirurgici, riabilitazione, concerti annullati e un carrozzone di malvagità in grado di mettere in ginocchio chiunque. Non contento, il fato continuò a divertirsi anche in tempi meno remoti quando, a febbraio di quest’anno, Paolo Rossi decise di lasciare la band. Come reagirono quindi i Fleshgod? Siamo qui per parlarne.

Della formazione di Agony sono rimasti solo Francesco e Francesco; completano la line up l’imprescindibile Veronica, Fabio Bartoletti alla chitarra e Eugene Ryabchenko alle pelli. Opera, sesto disco in studio, è ispirato alle vicende accadute a Francesco: un incubo a occhi aperti che cerca di mettere in musica una caduta negli abissi più profondi e la conseguente rinascita. E che rinascita! Avevamo descritto Veleno come il miglior album in carriera ma ci sbagliavamo: non avevamo calcolato ulteriori possibili margini di miglioramento e un livello camaleontico quasi d’altri tempi.

Opera è un lavoro piuttosto diverso da quello precedente e lo si intuisce già dal primo ascolto. La chiave di lettura qui è Veronica, giustamente omaggiata in copertina: la sua prestazione nell’album infatti è monumentale. Si è deciso di darle più spazio e lei ha ripagato con gli interessi, occupandosi di tutte le clean e andando a riempire un vuoto alzandone completamente il livello. Il bilanciamento del disco poi è fondamentale e i Fleshgod sono riusciti a creare un’entità unica che potrebbe presentare ogni traccia come singolo e che meriterebbe di essere suonata dal vivo nella sua interezza. Opera ha nella varietà il suo punto di forza e non se ne vergogna affatto, riuscendo a regalare momenti di grande intensità, riflessivi e anche grandi melodie. C’è anche una divertentissima  Morphine Waltz che, a giudicare dal titolo, dovrebbe rimandare agli oppiacei usati in ospedale per lenire il dolore e a ciò che dovrebbe aver provato Francesco durante la somministrazione: un delirio di voci stridule e barocchismi ai mille all’ora in grado di spezzare benissimo la tracklist come fece The Fool all’epoca di King.

I Fleshgod si trovano quindi in un invidiabile stato di grazia e ci servono un album dove non è stato sbagliato nulla. Dalla produzione al songwriting, da Eugene che non ha nulla da invidiare al fenomenale Eoghan fino agli arrangiamenti di un Ferrini che non smetta mai di stupire; il growl di Francesco è come sempre devastante e, lo diciamo ancora una volta, Veronica è straordinaria. Se proprio dobbiamo trovare un difetto ad Opera, possiamo parlare delle chitarre che si limitano ad accompagnare senza mai puntare sul riff; scelta però necessaria e completamente funzionale alla direzione artistica intrapresa. Completa il quadretto la miglior produzione che la band abbia mai avuto.

Sta girando in questi giorni una foto dei Fleshgod dove i cinque membri storici rifanno oggi la stessa posa del 2011; ne è passata di acqua sotto i ponti, ma ancora ricordiamo il primo ascolto di Agony, dove fummo letteralmente sbalzati dalla sedia. Poi il viaggio è continuato attraverso labirinti, corti, veleni fino ad arrivare a Opera e a consacrare i Fleshgod Apocalypse come un’eccellenza. Siamo fieri di voi.

 

 

 

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