Recensione: Opus
Ogni qualvolta venga pronunciato il nome Adramelch, lo si fa sempre con un tono reverenziale, come se si parlasse di un entità leggendaria, di una divinità cui spetta il giusto tributo. Questo perché la band milanese risulta essere uno degli act italiani capaci di essersi ritagliati uno spazio, di essersi fatti un nome, in Italia e all’estero, soprattutto in Germania e Grecia. Partendo dal seminale Irae Melanox, passando per Broken History – il disco del ritorno – fino al più recente Lights From Oblivion, il quintetto di Milano ha sfornato tre capitoli di rara bellezza e complessità. Tre capitoli da annoverare di diritto tra i punti più alti all’interno di quel genere che porta con sé elementi classicamente heavy, prog ed epic metal, in cui atmosfere a tratti introspettive, a tratti maestose, dettano i colori e le coordinate in cui la band ha deciso di muoversi. Tre dischi uno diverso dall’altro – perché agli Adramelch non piace ripetersi – ma in cui la personalità ed il tocco della band milanese è facilmente riconoscibile.
Così è normale che ad ogni annuncio di un nuovo disco degli Adramelch, tra addetti ai lavori e appassionati con la “a” maiuscola, venga a crearsi un certo fermento. Una reazione che può esser descritta come il realizzarsi di una profezia a lungo attesa. Sì, perché essendo una vera e propria cult-band, un loro nuovo disco viene accolto con una certa soggezione reverenziale per quanto dimostrato nel corso della loro carriera. Ed il fermento e l’attesa attorno ad Opus, questo il titolo della nuova fatica, non può che aver raggiunto picchi elevatissimi dopo l’annuncio fatto dalla band, tramite cui il quintetto milanese ha dichiarato che, dopo questo nuovo disco, gli Adramelch non esisteranno più.
Opus, come da tradizione Adramelch, risulta essere un disco complesso, che richiede più di un ascolto per esser assimilato ed apprezzato. Un disco che preferisce svelarsi a piccole dosi in cui le partiture più prog oriented del precedente Lights From Oblivion si mescolano, in maniera sapiente, alle strutture più dirette – termine da prendere con le pinze – e maestose dello splendido Broken History. Sia ben chiaro, non un autocitazione, non è da Adramelch, bensì un disco capace di inglobare e rendere sotto una luce diversa le anime dei due precedenti lavori. Opus è il disco d’addio, l’ultima prova sulla lunga distanza, l’eredità da lasciare alle generazioni future e come tale è stato pensato e suonato. Un album in cui nulla è lasciato al caso, tutto risulta curato nei minimi dettagli. La suggestiva ed affascinante copertina, la scelta dei suoni – estremamente cristallini ed in grado di far apprezzare e valorizzare ogni strumento -, il songwriting e le prestazioni dei singoli, tutto tocca livelli elevatissimi. Opus si sviluppa attorno alla voce del sempiterno Vittorio Ballerio, una delle voci più belle ed emozionanti che abbia mai sentito. Tecnica, teatralità, la capacità di vivere e recitare alla perfezione ogni singola traccia, sono le caratteristiche che da sempre lo contraddistinguono, rendendolo unico e riconoscibile in mezzo a mille. Ma non è il solo Vittorio a brillare. E’ d’obbligo citare lo splendido lavoro alle chitarre di Gianluca Corona ed il drumming preciso ed elegante di Sigfrido Percich. Ma è tutta la band a risplendere di una luce intensissima. Basta ascoltare canzoni come Forgotten Words, Only By Pain o la conclusiva Where Do I Belong per trovare traduzione in musica di quanto fin qui detto. Ma è inutile citare una canzone rispetto ad un altra, è tutto il disco a convincere, ad emozionare. Un lavoro che va ascoltato dall’inizio alla fine, ad occhi chiusi, lasciandosi trasportare dalle emozioni che Opus è in grado di trasmettere. Un disco capace di toccare e scuotere l’ascoltatore in ogni suo capitolo, sia esso strumentale, come la bellissima Ostinato, o caratterizzato da un duetto alla voce come in Northern Lights, canzone in cui Vittorio duetta con la brava Simona Aileen Pala.
Se doveva essere un addio in grande stile, Opus non tradisce le attese e ci consegna una band in forma strepitosa, una band che, salvo ripensamenti, ha deciso (purtroppo) di porre la parola fine alla propria carriera. Gli Adramelch, fregandosene delle leggi di mercato, non sono mai stati una band prolifica, hanno pubblicato dischi quando lo ritenevano opportuno e quando dalla loro avevano la sicurezza e certezza che il disco rispecchiasse a pieno il proprio credo in musica. Per Opus l’attesa è stata relativamente breve, sono passati solo tre anni dal precedente lavoro ma tanto è bastato al quintetto milanese per creare un disco perfetto, emozionante. Un disco che verrà considerato da molti come uno dei punti di riferimento per il genere, un disco che rientra già da ora tra i vertici delle release di questo 2015. E, perlomeno per chi scrive queste righe, non poteva essere diversamente dato che gli Adramelch, assieme a Warlord e Fates Warning (John Arch era), occupano di diritto un posto nell’ipotetico podio di quel genere descritto all’inizio di queste righe.
Non rimane che inserire Opus nel lettore, fare play, chiudere gli occhi ed iniziare il viaggio. Grazie Adramelch.
Marco Donè