Recensione: Opus One
Abbassate le luci, tirate le tende, distendetevi. Lasciate che la musica fluisca liberamente e vi attraversi, come un rivolo quieto e solitario. C’è qualcosa in queste note che ha il potere di avvolgere lo spirito, cullarlo, accarezzarlo dolcemente. C’è un profumo nostalgico, una flebile brezza che prende i ricordi per mano e li porta con sé, lontano, nella vastità di un campo autunnale, per sgocciolarli delicatamente come rugiada su un filo d’erba. C’è un incanto arcano che dipingerà davanti ai vostri occhi un paesaggio a tinte opache, il cui calore tenue e gentile arriverà fino alla vostra pelle. Questa, signori, è la musica dei Greylevel.
No, non stupitevi se non ne avete mai sentito parlare. “Opus One” è il disco di debutto del trio canadese – piuttosto stupitevi della sua quieta bellezza. Due anni: tanto è stato il tempo necessario al pianista Derek Barber, aiutato dalla moglie Esther e dall’amico Richard Shukin, per comporre questa piccola meraviglia. La si potrebbe definire una gemma, eppure quasi le si farebbe un torto. “Opus One” è una creatura viva, gonfia di linfa vitale: un fiore che sboccia e, poco a poco, appassisce. Dai suoi petali si può stillare un nettare prelibato e, insieme, il veleno della malinconia. Impossibile e fors’anche insensato soffermarsi a chiamare ogni sorso col suo nome: ciascun brano scivola con naturalezza nel successivo, rimescolandosi in un’unica, pungente bevanda. Un docile arpeggio di chitarra acustica, un garbato stacco di pianoforte, un flebile sussurro di synth – la forma-canzone si discioglie, le melodie si confondono l’una nell’altra, lente, pacate, eppure in qualche modo dolorose.
Avvicinandovi ai Greylevel, non troverete funamboliche evoluzioni tecniche o ardite sperimentazioni strumentali. La loro è una musica di pure emozioni, che può ricordare le atmosfere solitarie e nostalgiche dei migliori Simon & Garfunkel piuttosto che le raffinate trame di Genesis o Camel, capace di sfiorare con poche note i più profondi recessi dell’animo con il tocco commovente degli Anathema piuttosto che con la visionaria sensibilità di Pink Floyd o Porcupine Tree. Non lasciatevi ingannare da quanti vi diranno che questo dei Greylevel è “un buon album”. “Opus One” è una poesia da recitare a bassa voce, è un quadro da contemplare in silenzio, è un sogno da vivere fino in fondo.
Siete stati avvertiti. Insieme all’esordio dei connazionali Electro Quarterstaff, è questa l’autentica sorpresa in campo progressive dell’appena trascorso 2006. Greylevel, Opus One: non dimenticate il loro nome.
Tracklist:
1. Sojourn (6:37)
2. Taken (7:41)
3. Blue Waves (16:54)
4. Your Light (9:12)
5. Possessing Nothing (15:08)
6. Rest (3:24)
Line up:
Derek Barber: vocals, guitar, keyboards, bass and programming
Richard Shukin: 6 and 12 string guitars, bass, lead guitars
Esther Barber: vocals, keyboards