Recensione: Ordinary Just Won’t Do

Di Mauro Gelsomini - 5 Ottobre 2004 - 0:00
Ordinary Just Won’t Do
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Anno: 2004
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78

Amanti del pomp AOR, giù il cappello.
Il terzo album dei Grand Illusion è figlio di Giant e Styx, e il suo attaccamento alla lezione dei maestri è di quelli genuini, ma a fare la gloria di questi cinque svedesi contribuisce molto la grande classe – non mi stancherò mai di dirlo – necessaria per approcciare un genere così easy listening.
Pur non disdegnando i modernismi offerti loro da un sound all’avanguardia e dalla strumentazione a disposizione, i nostri preferiscono non distaccarsi dallo stile compositivo che aveva caratterizzato i primi due album, e, nel caso, indurirsi il giusto nella direzione dei TNT, tanto che sulle note stellari il singer Peter Sundell mi ha ricordato tantissimo il collega Tony Harnell.
Quando si ha a disposizione una voce così, è naturale pensare di metterla in primissimo piano, e così è, infatti, anche se le chitarre fanno il loro nel tessere riff catchy e ruffiani al punto giusto.

Tutte le song sono caratterizzate da una compattezza nel sound e nella composizione veramente invidiabili, e fin dalla opener “Devil’s Advocate” è chiara l’intenzione di osare qualcosa dal punto di vista della pesantezza, dal momento che si fanno già sentire gli screaming di Sundell, che saranno poi “approfonditi” nel seguito. Anche gli altri temi ricorrenti e necessari dell’AOR fanno la loro presentazione con questo brano: cori magniloquenti, armonie e melodie cantabili al primo ascolto, arrangiamenti pomp e intrecci tra chitarre e tastiere, sezione ritmica cadenzata e martellante.
A parte le ballad di rito, la prima delle quali è l’intensa “Heaven Or Hell”, il disco si mantiene su up-tempo decisamente incalzanti e trascinanti, con la voce di Sundell sempre graffiante, orientati verso un heavy pomp abbastanza tirato, anche se non mancano episodi più pop, come le belle “New Beginning”, “Pull You Down” e la travolgente “When You Were Mine”. Qualche sperimentazione, guarda caso mal riuscita e poco gradita (ovviamente per chi scrive) su “Gone For Good”, che con un riffing stoppato Metallica style si discosta appena dalla strada maestra, per poi tornarvi alla grande con “1982”, omaggio ai tempi d’oro dell’AOR già dal titolo, una gemma di rara bellezza che fa gridare al capolavoro.
E’ puro Heavy quello di “Love Lies Buried”, tiratissima song con le chitarre di
Anders Rydholm, Ola af Trampe e dello stesso Sundell in evidenza. Si placano i toni con “Back To Yesterday”, più oscura fin dal riffing, ma ariosissima sul chorus, cosa che sembra riuscire alla grande ai Grand Illusion, e il discorso intrapreso si ripete con “And This Is Why”, altra power ballad in stile Styx, in cui gli acuti di Sundell si spingono ancora su tonalità molto elevate, ma vi si mantengono più o meno con costanza, ricordando fastidiosamente gli asettismi di James Labrie.
L’ultimo brano, “On Time”, chiude in maniera impeccabile con un AOR convenzionale di pregevole fattura, senza sbavature né esagerazioni, con le chitarre di Trampe protagoniste su un chorus ripetitivo ma mai stucchevole.

A chiudere, prova superata per i Grand Illusion, che scelgono di spingersi oltre il facile hard rock melodico osando verso l’Heavy classico, ma vista la naturalezza con cui riescono a creare melodie così ficcanti e vincenti, non mi sento, come altri hanno fatto, di biasimare questo nuovo orientamento, soprattutto perché riesce a non perdere mai di vista le chiarissime origini pure-AOR.
 
Tracklist:

  1. Devil’s Advocate
  2. The Best Is Yet To Come
  3. Gone For Good
  4. Heaven Or Hell
  5. New Beginning
  6. 1982
  7. Pull You Down
  8. Love Lies Buried
  9. Back To Yesterday
  10. And This Is Why
  11. When You Were Mine
  12. On Time

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