Recensione: Ordo Ad Chao

Di Pier Tomasinsig - 10 Settembre 2008 - 0:00
Ordo Ad Chao
Band: Mayhem
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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80

È chiaro che un gruppo del calibro dei Mayhem non necessita di alcuna presentazione. Attorno al gruppo norvegese si è creata infatti negli anni una vera e propria aura di leggenda. Vuoi perchè sono stati i primi a sviluppare le influenze di Venom, Bathory ed Hellhammer/Celtic Frost (oltre che del thrash di scuola tedesca) traducendole in quei canoni che sarebbero divenuti poi tipici del black metal norvegese degli anni novanta, del quale i nostri si imposero certamente come antesignani. Vuoi per le notorie e drammatiche vicende che hanno coinvolto questa band nel corso degli anni, dal suicidio del cantante Dead nel 1991 all’omicidio di Øystein Aarseth (meglio noto come Euronymous) per mano di Varg Vikernes, avvenuto due anni dopo. Vuoi perchè con il capolavoro “De Mysteriis Dom Sathanas” ci hanno regalato uno dei dischi black più particolari, importanti e significativi di tutti i tempi.

Ragioni sufficienti perchè questo alone leggendario finisse per gravare come un macigno su ogni successiva release dei norvegesi, alimentando, complici le notevoli sperimentazioni intraprese con gli album del nuovo millennio, un’infinita serie di polemiche tra i fan, per lo più generate da fuorvianti confronti tra i “nuovi” Mayhem e quelli “storici” (nelle loro diverse incarnazioni, e anche qui le controversie non mancherebbero…). Polemiche che hanno seguito (e seguiranno) inevitabilmente anche l’uscita del nuovo full-length “Ordo Ad Chao”.

Dal canto mio, preso atto che i Mayhem successivi alla morte di Euronymous sono da considerarsi un’entità ben distinta, non mi aspettavo dal nuovo album alcun ritorno alle sonorità classiche, nonostante il rientro in formazione di quello stesso Attila Csihar che aveva prestato la propria voce nientemeno che sul già citato “De Mysteriis Dom Sathanas”.

Immagino d’altro canto che proprio il come-back di Attila tra i ranghi dei Mayhem potrebbe aver indotto molti ascoltatori ad auspicare un recupero di quelle sonorità. Vediamo di sfatare immediatamente ogni equivoco: “Ordo Ad Chao” è un disco che non solo non si rivolge al passato remoto della band, ma travalica persino quanto i norvegesi ci avevano proposto nel loro passato più prossimo. In altre parole -ancora una volta- è un disco diverso. Ciò non significa che manchino in quest’album concrete testimonianze di quella autentica devastazione sonora che aveva connotato il sound degli esordi: anzi, in “Ordo Ad Chao” ci sono alcune delle sfuriate più brutali e assassine che abbia sentito suonare ai nostri da parecchi anni a questa parte. Solo che questi accessi di buona vecchia violenza black sono inseriti nel contesto di canzoni estremamente complesse e destrutturate, che alternano, tra continui e spiazzanti cambi di tempo, passaggi lenti e pesantissimi ai limiti del doom, accelerazioni inconsulte, break melodici allucinati e morbosi, dissonanze e suoni ostici, claustrofobici, in cui si palesa una neanche tanto sotterranea vena industrial.

Su tutto regna l’atmosfera forse più oscura e malsana che abbia mai sentito in un loro disco. La stessa atmosfera che tanto mi aveva fatto amare il loro primo full-lenght, così malata e disturbante da risultare quasi insostenibile, e che oggi, pur reinterpretata attraverso una diversa e più moderna sensibilità, costituisce forse l’unico vero elemento di continuità tra i Mayhem di allora e quelli odierni.
E certamente gran parte del merito in questo senso va al demoniaco Attila Csihar. Noterete forse che la sua timbrica è in parte cambiata rispetto a “De Mysteriis Dom Sathanas”, ma resta il fatto che questo vocalist ha l’incredibile capacità di impregnare letteralmente di se ogni album sul quale canta, rendendolo unico e perverso nel suo modo inimitabile. Non saprei spiegare la genuina inquietudine che mi provoca il suo scream acido e delirante, quei suoi versi parlati -o meglio recitati- gravidi di angoscia, latrati di follia che richiamano sensazioni che non vorremmo mai provare.

Beninteso, non che la prova fornita dall’intero gruppo sotto il profilo tecnico sia men che encomiabile. Hellhammer in particolare pare un forsennato, e passa in modo repentino e a volte apparentemente sconclusionato attraverso tutti i tempi possibili e immaginabili; del resto la sezione ritmica nel suo insieme, soprattutto nelle parti più violente e accelerate, si conferma precisa e devastante, mentre Blasphemer, responsabile unico del songwriting, macina con maestria riff cupi e contorti e disegna melodie alienanti.
La produzione dal canto suo è stata una sorpresa: suoni sporchi, plumbei, ovattati, che ci si aspetterebbe di sentire più in un demo autoprodotto che nelle release ufficiali di simili grandi band. È piuttosto probabile che questi suoni tutt’altro che perfetti (tanto per usare un eufemismo) siano il frutto di una scelta consapevole, forse volta a creare una fittizia atmosfera underground. Una scelta probabilmente opinabile, ma che di fatto accentua ulteriormente il senso di oppressione e oscurità che permea il disco, e in tal senso forse potrebbe essere apprezzata.

Insomma, se ancora non si fosse capito, “Ordo Ad Chao” è un album ostico, all’insegna del caos “studiato” e perciò volutamente elitario -a tratti imperscrutabile-, che inevitabilmente per molti continuerà a risultare indigesto anche dopo ripetuti ascolti. Un disco che ha diviso (e dividerà) il pubblico e la critica, tra chi vede in esso l’opera geniale e incompresa che traccia nuove strade per il futuro del genere (scordando che simili esperimenti di post-black allucinato e industrialeggiante non sono propriamente una novità), e chi invece lo percepisce come un lavoro inconcludente, dispersivo, inutilmente pesante e cervellotico.
E non nego che ci sia una parte di verità in quest’ultima tesi, perchè a volte è veramente difficile trovare il proverbiale “bandolo della matassa” nel folle coacervo di suoni che è “Ordo Ad Chao”; è difficile, in altre parole, individuare tra tanta intransigente ricerca della sperimentalità l’identità ultima di quest’album, il filo conduttore che permetta di coglierne l’intima coerenza.
Anche ammettendo questo, non posso che rendere il doveroso plauso a coloro che mi hanno regalato uno dei dischi più cupi, angoscianti, maligni e contorti che abbia sentito da molto tempo a questa parte; personalmente, è il miglior album dei Mayhem dopo la “reunion”.

Tracklist:

1. A Wise Birthgiver

2. Wall Of Water

3. Great Work Of Ages

4. Deconsecrate

5. Illuminate Eliminate

6. Psychic Horns

7. Key To The Storms

8. Anti

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