Recensione: Organasm
C’è da ammetterlo, in ventuno anni di carriera gli Alchemist hanno calcato le scene molto silenziosamente, tanto silenziosamente che molti, anche gli addetti ai lavori, sembrano spesso essersi dimenticati dell’universo del gruppo australiano.
Composta da Adam Agius alla voce e alla chitarra, John Bray al basso, Rodney Holder alla batteria e Roy Torkington alle chitarre, la band s’è rivelata nel tempo essere una delle più longeve ed originali realtà del continente d’Australia. Coniugando in un calderone d’emozioni progressive rock, metal estremo e tanta tanta psichedelia, riescono ad essere riconoscibili già dalle prime note rendendo la propria musica estremamente moderna e fresca.
Svegliatisi da un sonno di tre anni, ecco approdarli nuovamente sul mercato discografico nel 2000 con il full-lenght “Organasm”, che, diciamolo subito, è senza ombra di dubbio il miglior lavoro firmato dai cinque di Camberra. Già l’introduzione del disco lascia spiazzati: “Austral Spectrum” mostra da subito un gruppo estremamente solido tecnicamente e capace di un song writing fresco, che riesce a far confluire insieme musiche di stampo etnico (sottolineate dal lavoro delle chitarre), echi voivodiani (specialmente per le tastiere e le parti strumentali), sino ad arrivare a proporre accenni vocali che sfociano nel black metal più classico (con un Adam in grado di sfoderare uno scream di prim’ordine), alternato a parti clean comunque molto aggressive.
Andando avanti il disco si risolve in un continuo sperimentare e giocare con distorsioni e suoni atipici da parte della band, partendo da “Evolution” divisa in tre episodi (“The Bio Approach” più tipicamente techno-death a-là Cynic mentre “Rampant Macrolife” e “Warrant Tribe-Eventual Demise” decisamente più di stampo thrash dalle tinte cibernetiche), passando per il progressive metal di “Single Sided”, sporcato di psichedelia, sino ad approdare alla violenza esplosiva di “Surreality”, con la band che si diverte continuamente a cambiare faccia, mostrando ora la vena più estrema, ora quella più innovativa e atipica.
Arrivati a questo punto potrebbe sembrare che il disco non possa viaggiare su standard qualitativi migliori, ed è invece a questo punto che gli Alchemist tirano fuori un trittico finale da togliere il fiato. Troviamo in sequenza “Tide In, Mind Out”, lo splendido strumentale “Eclectic” e la conclusiva, camaleontica “Escape From The Black Hole”. La prima delle tre in particolare colpisce, riuscendo a riassumere in 5 minuti e 30 secondi tutta la filosofia alchemistiana, incorporando al suo interno tutti quei generi a cui si faceva riferimento all’inizio della recensione, risultando oltretutto perfettamente bilanciata dal punto di vista emozionale, alternando momenti più tirati ad altri rilassa(n)ti.
Per quanto riguarda il comparto più “tecnico”, anche in questo caso “Organasm” soddisfa da ogni punto di vista, proponendo una qualità di registrazione pressochè perfetta, che conferisce al disco un sound pulito e allo stesso tempo potente, che non risulta però piatto o troppo artificioso, ma che invece sottolinea e rende ancor più accattivante il lavoro svolto dal combo australiano.
Se volete provare un disco fuori dal coro, esaltante ed originale allora “Organasm” fa al caso vostro.
Tracklist:
01 Austral Spectrum
02 Evolution 1-The Bio Approach
03 Evolution 2-Rampant Micro Life
04 Evolution 3-Warrant Tribe-Eventual Demise
05 Single Sided
06 Surreality
07 New Beginning
08 Tide In, Mind Out
09 Eclectic (Instrumental)
10 Escape From The Black Hole
Emanuele Calderone
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