Recensione: Origin
La Finlandia si mostra costantemente una delle migliori, se non la migliore, realtà alternative alla Svezia, in materia di melodic death metal. Assieme a Campioni assoluti tipo Insomnium e Omnium Gatherum, ecco spuntare dalle pianure dei Mille Laghi i The Hypotesis con il loro debut-album, “Origin”.
Una band relativamente giovane (2009), autrice soltanto di un EP (“Nightshade”, 2009) e di tre singoli (“Weak Story, 2011, “Shades to Escape”, 2011; “Scarface”, 2011), oltre al full-length in esame, a causa, anche, di un rimaneggiamento praticamente completo della formazione, avvenuto nel 2012.
Rispetto agli act più su menzionati, però, i Nostri si tengono leggermente più vicini, proprio, alla matrice primigenia del gothenburg metal. Forse sono le harsh vocals di Antti Seppälä, forse i ritmi scoppiettanti in doppia cassa di Waltteri Väyrynen, ma la sensazione è piuttosto chiara: si rispetta la tradizione, anzitutto.
Quindi, molta melodia, andature trascinanti, armonizzazioni di tastiera belle avvolgenti, ma poca melanconia, poca tristezza in un sound che, rispetto ai costumi finnici, ormai tipizzati, pare essere orientato maggiormente verso ovest (‘Exit’). Si tratta di sfumature, questo è certo, più che di concrete manifestazioni oggettivamente inquadrabili con esattezza matematica. Anche perché, alla fin fine, una certa predisposizione per la ricerca della profondità emotiva la si più comunque cogliere, nel disco (‘End of your Days’).
Anche quando ci si spinge di più nel modern melodeath – o modern metal (Parasite Inc., Rise The Fall, Nodrama, The Stranded, Dead End Finland), la forza del quintetto di Kouvola non subisce cali. Anzi, il guadagno in termini di percezioni accattivanti aumenta, come per esempio accade nella stupenda ‘Atonement’. Una song evidentemente adatta, come hit, a far conoscere i The Hypotesis al di fuori dei confini nazionali. Davvero irresistibile, il suo ritornello.
Come, spesso, si dimostrano eccellenti cesellatori di soli Juuso Turkki e Asko Sartanen. Abili senz’altro nella tessitura dei massicci, rocciosi riff portanti ma dotati d’innata classe quando si tratta di agire sulle corde più fini dell’ascia da guerra (‘Shades to Escape’).
A parte la bontà artistica della ridetta ‘Atonement’, tuttavia, “Origin” presenta un po’ troppi alti e bassi. Una consequenzialità dei brani non ancora perfetta, che – qua e là – presenta dei cali di tensione coincidenti con episodi scolastici tipo ‘Weak Story’. Non si discute né la tecnica d’esecuzione, ineccepibile, né tantomeno lo stile, caratteristico della formazione stessa. Manca, però, la compattezza compositiva, retaggio dei Grandi.
Un difetto che non inficia la resa complessiva di “Origin”, in ogni caso più che discreta, quanto la possibilità dei The Hypotesis di sfondare.
Il frutto deve ancora maturare, insomma, ma il fiore c’è.
Daniele D’Adamo