Recensione: Origin of Abhorrence

Di Daniele D'Adamo - 19 Giugno 2017 - 0:00
Origin of Abhorrence
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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60

Nati nel 2001 proponendo un sound ancorato al death metal classico, i Displeased Disfigurement hanno via via modificato il proprio approccio all’estremo passando al brutal death metal nella sua versione slamming, dando  così alle stampe il debut-album “Extermination Process” (2013), seguito quest’anno dal secondogenito “Origin of Abhorrence”.

E slamming è: le nove canzoni del disco sono difatti nove schiaffoni sulla faccia, elargiti a palmo aperto. Nove mazzate sulla schiena. Nove grandinate sui denti. L’intensità è ai massimi livelli umanamente possibili ma non per questo i Nostri perdono neppure una nota. La tecnica in mano a essi è elevata, allineata al vertice cui albergano i Migliori del genere.

Le due chitarre del combo australiano svolgono un lavoro sterminato, fatto di una moltitudine di riff tale da colmare un mare. Darius Wilken e Mitch Wilken sono due stacanovisti della sei corde, capaci di erigere un muro di suono enorme nelle tre dimensioni spaziali. È garantita infatti la profondità, giacché i due axe-man evitano di proporre un sound zanzaroso prediligendo, al contrario, la potenza che solo un’interpretazione thrashy della questione può fornire. 

Lo stesso Wilken identifica l’ugola della formazione di Middelburg, evitando tuttavia di utilizzare l’inhale se non che in rare occasioni, preferendo un growling cavernoso, rabbioso ma controllato. Lo stesso si può affermare della sezione ritmica, pressoché perfetta nella sua rappresentazione di un sound pulito, preciso, nel quale si possono leggere tutte le note suonate.

Con una disamina siffatta si può intuire che l’originalità non sia certamente l’arma migliore dell’ensemble oceanico. Difficile, per ciò, riuscire a scovare qualcosa – un particolare, un segno caratteristico – che possa indurre a esclamare: «ecco, questi sono i Displeased Disfigurement!». Benché tutto sia eseguito con perizia e professionalità, lo stesso tutto non ha, nelle sue corde, quel qualcosa in più tale da renderlo unico. Lo stile del platter è piuttosto convenzionale e non lascia adito a particolari accadimenti, sorprese in primis

Di conseguenza manca un po’ d’imprevidibilità, nel senso che dietro l’angolo si sa già che cosa accadrà. Peraltro, la noia, nemica mortale – in questi casi – non fa capolino con la facilità cui parrebbe doverlo fare. Il riffing delle due asce da guerra è talmente vario, all’interno dei singoli brani, che – comunque – i brani stessi riescono a vivere di vita propria, risultando parecchio diversi l’uno dall’altro.

Anche se, ed è questo il limite principale di “Origin of Abhorrence”, che ne limita il valore alla mera sufficienza, la ridetta assenza di contaminazioni e/o progressioni stilistiche è un malloppo duro e difficile da digerire.

Daniele dani66 D’Adamo

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