Recensione: Original Plague
Dalla Finlandia arrivano gli Amanita Virosa con il loro nuovo full-length, “Original Plague”. Il secondo, che segue a distanza il debut-album “Asystole”. Tutto qui, una produzione scarna, se si pensa che il combo nordeuropeo è nato nel 2008. Chiaramente si tratta di un dato statistico, che non indica e non può indicare la bontà o meno di una band, talmente sono tanti i motivi alla base di questa mancanza di fertilità.
Tant’è che essi sciorinano un death metal melodico di tutto rispetto, tendente spesso al symphonic come spesso si usa fare adesso. Anzi, non solo tendente ma immerso in esso, se si vuole essere precisi al millimetro.
Subito una premessa: gli Amanita Virosa non seguono i tipici filoni del melodic death metal, proponendo uno stile scevro da cliché triti e ritriti. Al contrario, si ingegnano a trovare una propria strada che non sia troppo vicina alle altre di gruppi che elaborano qualcosa di simile. Da queste parole di si evince che il punto forte di “Original Plague” non è l’originalità. Nonostante ciò, i Nostri riescono a mettere giù un loro stile del tutto personale, adulto e professionale, anche se privo di spunti evoluzionistici. Uno stile perfettamente disegnato sia nei contorni, sia nei dettagli interni al marchio di fabbrica che lo contraddistingue.
Oltre alle favoleggianti orchestrazioni che accompagnano “Original Plague” nel suo viaggio da ‘Prelude’ a ‘Longing’, c’è da rilevare che il quintetto scandinavo pesta come un dannato. Non esimendosi, fra l’altro, di scatenare all’improvviso piogge roventi di blast-beast, sì da generare un muro di suono devastante. Potente, massiccio, imperioso ma intelligibile sempre e comunque. Segno di una produzione semplice e lineare, anch’essa tesa a rispettare i canoni presenti di un sound moderno senza stravolgere niente e nessuno. Produzione abile, non di meno, a far sì di non soffocare le linee vocali di Clamors, sempre capace di controllare l’enorme energia che scaturisce dalle due chitarre, dal basso, dalla batteria e dalle tastiere o, meglio, dai maestosi intarsi sinfonici.
Occorrono un po’ di passaggi per riuscire a districarsi nell’enorme mole di musica messa giù dall’act finlandese. Basta solo porre l’attenzione sulla closing-track, furibondo assalto all’arma bianca che, nell’incipit, mostra gli oliati muscoli di un gruppo capace di volare alla velocità della luce e, contemporaneamente, di rendersi sempre leggibile in ogni frangente, anche il più aggressivo.
Un po’ discontinua la qualità delle canzoni. Tutte assestate su un livello qualitativo più che discreto. Ben scritte e ottimamente eseguite, formano un insieme leggermente altalenante per quanto riguarda la loro efficacia. C’è un picco che corrisponde a ‘Despair Is for the Living’, grandioso esempio di ferocia metallica applicata alla melodia. La furia degli elementi scatena tuoni e saette ma, nella consueta antitesi massima potenza / armoniosità, si raggiunge il massimo con un ritornello stupendo, davvero azzeccato, da brividi sulla pelle; traccia nobilitata, pure, da un solo di chitarra con i fiocchi. Negli altri brani gli Amanita Virosa – che autodefiniscono il loro stile hospital metal (?) – non riescono a ripetersi pur mantenendosi su un livello artistico più che dignitoso.
Al solito, per concludere, non resta da rilevare che il melodic death metal, dato spesso per morto, è vivo e brilla di vivida vitalità.
Daniele “dani66” D’Adamo