Recensione: Origins
I Dark Moor nascono come una delle realtà più interessanti del power metal sinfonico internazionale. Se i primi album, nonostante un ottimo risultato finale potevano essere oggetto di critica per un sound eccessivamente plasticoso e artificiale dovuto anche ad una produzione non eccelsa, dall’album “Tarot” (2007) in poi, la band spagnola è riuscita a raggiungere un equilibrio che sfiorava la perfezione, proiettando la band iberica direttamente tra le migliori rappresentanti nel loro genere. Tutto questo evidentemente non bastava al chitarrista, mastermind e fondatore del gruppo Enrik Garcìa, che con un deciso cambio di stile nel 2015 con il famigerato album “Project X” segnava inesorabilmente il termine del periodo d’oro della band. Il disco stravolse completamente il tipico sound degli Dark Moor proponendo un hard rock molto leggero e poco ispirato sia nelle sonorità che nelle intenzioni, un lavoro senz’anima e senza idee. Un netto passo falso, nonostante resti concettualmente apprezzabile la volontà di non fermarsi mai nella ricerca musicale e cercare sempre di innovarsi e rinnovarsi. A quasi quattro anni di distanza, dopo la rottura con la Scarlet Records ed una campagna di crowdfunding per autofinanziarsi, arriva “Origins“: l’album della verità, uscito nel gennaio del 2019 e che ci accingiamo a recuperare. Considerando il flop del lavoro precedente, l’auto-produzione e il titolo del disco, in molti nutrivano molte aspettative su quest’ultima fatica della band.
Considerando il clima folk che accompagna alcuni brani proposti, possiamo dedurre che il concetto delle origini evocato nel titolo del disco si riferisca solamente ad un significato etnografico e tradizionale del termine senza fare alcun riferimento ad un ripensamento o ad un ritorno alle origini della band. Si è scelto di nuovo di proseguire sulla falsariga del lavoro precedente. Una scelta per certi versi inspiegabile. Dopo esser stati deliziati negli anni passati da un’ottima trasposizione in chiave metal di “Chiaro di Luna”, “Sinfonia n°5 in Do minore” di Beethoven ed il “Lago dei Cigni” di Ciaikovskij si aspettava quanto meno una maggiore enfasi, ricerca musicale ed una trasposizione più curata e originale della musica folkloristica a cui comunque fa riferimento. Purtroppo non v’è nulla di tutto ciò.
Già dalle prime note si evince la scelta di esprimere un sound semplice, diretto e molto soft. Le prime due tracce, infatti, ‘Birth of the Sun’ e ‘The Spectres Dance’ nonostante la loro struttura elementare sono quantomeno coese e frizzanti. Ma già dalla terza traccia non ci siamo proprio: ‘Crossing Through Your Heart’ risulta un brano prettamente pop che sfiora il ridicolo. Un ritornello talmente elementare e orecchiabile che probabilmente vi verrà istintivamente la voglia di verificare se state ancora ascoltando i Dark Moor oppure per qualche strano motivo si è avviato un brano degli Boney M. Con ‘In the Middle of the Night’ è praticamente la stessa storia, ma in questo caso vi sembrerà di ascoltare i Bee Gees: la stessa effimera leggerezza, semplicità e banalità sia nel songwriting che nell’esecuzione. Andando avanti troviamo anche un’immancabile ma altrettanto semplice e scontata ballad dal titolo ‘And for Ever‘. La successiva ‘Druidic Creed’ è probabilmente la canzone più coerente del disco. Nulla di sconvolgente, siamo sempre al cospetto di un livello medio basso sotto ogni punto di vista che ormai risulta essere la costante di questo “Origins” ma almeno è un brano piacevole da ascoltare nella sua semplicità. ‘Iseult’ è l’ennesimo brano intimamente pop rock. Con le tipiche chitarre che fanno da contorno per sembrare una “figata” e un ritornello degno soltanto del festival di Sanremo di quest’anno. Non potevano di certo mancare anche i Muse in questo potpourri di plagi e ispirazioni pop rock; ed ecco che giunge il brano ‘Holy Geometry’ che poteva benissimo essere inserito nell’ultima uscita discografica del gruppo britannico sopra citato. L’ultima ‘Green Lullaby’ è un pezzo acustico di poco più di due minuti che racchiude in se tutti gli aggettivi che possiamo attribuire all’intero album: carino, semplice, immediato, dimenticabile.
Consigliato a chi vuole ascoltare 40 minuti di musica pop rock che strizza l’occhio agli anni novanta e poco di più. Purtroppo per chi è alla ricerca di sonorità più ricercate, complesse o semplicemente della musica metal, suggeriamo rivolgere l’attenzione alla bellissima discografia con la quale i Dark Moor ci hanno accompagnato praticamente dal loro esordio e fino all’anno 2013 con l’ottimo “Ars Musica”, dopodiché la band ha perso completamente la bussola, andando a scontrarsi contro gli scogli del pop rock mal riuscito e che non gli appartiene, visti i risultati assai scadenti di una tale virata. Sperando in un possibile vero ritorno alle ottime origini dei Dark Moor, possiamo augurare ai nostri un completo ripensamento sul loro futuro musicale. “Origins” riceve invece una meritata insufficienza.