Recensione: Origins
Sesto album per gli svizzeri Eluveitie, che si presentano in buona forma nonostante un doppio cambio in lineup (la violinista Meri Tadić sostituisce Nicole Ansperger e il chitarrista Sime Koch subentra a Rafael Salzmann).
Ben sedici tracce compongono Origins, che nulla aggiunge e nulla toglie alla discografia del gruppo, in particolar modo a livello stilistico. Possiamo tranquillamente parlare di una band che si ama o si odia, senza mezze misure, forti del fatto che dal buon Slania del lontano 2008 poco è cambiato. È questa la sensazione che si prova ascoltando i dischi degli Eluveitie (tranne ovviamente il pessimo Evocation I): un continuo déjà-vu accompagnato dall’idea che la squadra che vince non si debba cambiare di una virgola.
Origins conferma il ragionamento sciorinando una sfilza di tracce che faranno si contenti i fan di vecchia data, ma di certo non convinceranno nessun detrattore. Ascolterete, dunque, una musica che deve praticamente tutto l’impianto ritmico e di riffing allo swedish-death metal nella sua versione melodica; aggiungere quindi violino, cornamusa, flauti, altre amenità medievali come la ghironda e il gioco è presto fatto! Possiamo anche descrivere in maniera più approfondita aggiungendo al piatto linee vocali prevalentemente in growl/scream, chitarre droppate, sprazzi di buon groove alternati a momenti più ariosi e folk. Ogni tanto fa come al solito capolino la voce di Anna Murphy che spezza la tensione in favore di più varietà e ariosità: è una buona interprete e si rivela sempre una carta vincente nel mazzo degli Eluveitie.
È, però, alto il livello di prevedibilità del lotto di canzoni proposte, che finisce per intaccarne la longevità in maniera pressoché irreversibile; nonostante tutto rimane però una faciloneria di base che rende il prodotto accessibile e adatto ad un ascolto scanzonato e senza troppe pretese, il che potrebbe essere un pregio anche se a breve termine. Il grande merito degli svizzeri rimane in ogni caso quello di essere unici e di avere, in un certo senso, creato un loro modo di fare folk; al sesto album però è lecito aspettarsi sì un consolidamento ma anche un cercare di spingere oltre la propria proposta.
Qui non lo si fa nemmeno in parte e la “sindrome del dimenticatoio facile” è dietro l’angolo. Paradossalmente, gli Eluveitie offrono invece una grande profondità a livello di contenuti e concetti: Origins non è un concept album, ma ha come filo conduttore storie della mitologia celtica. Nel booklet dell’edizione speciale vi è una sezione in cui i brani sono spiegati, risultando un ulteriore incentivo all’acquisto e in grado comunque di arricchire culturalmente gli appassionati di questo tipo di tematiche e non.
Origins rimane, in definitiva, un prodotto concepito per soli fan, i quali sicuramente apprezzeranno, anche se non grideranno al miracolo. Canzoni come “The Nameless”, “Celtos” e “King” scorrono molto bene (concetto in realtà applicabile a tutte le composizioni) ma la sensazione che manchi qualcosa non si schioda dalla mente dell’ascoltatore neanche dopo ripetuti ascolti. Come prevedibile, inoltre, figura ancora una volta un fastidioso e stucchevole episodio strappalacrime come “The Call Of The Mountains”, che sembra quasi studiato a tavolino tanto è finto. Inutile poi discorrere sulla qualità della produzione che, a questi livelli, non può che essere stellare e in grado di valorizzare appieno ogni singola nota suonata.
Concludiamo raccomandando il disco, ovviamente a chi segue la band da sempre, ma, comunque, con riserve: prima o poi la proposta sempre uguale potrebbe davvero stufarvi e far volgere l’attenzione altrove. Chi passava oltre prima di Origins, passerà oltre anche questa stavolta.
