Recensione: Orlando: le forme dell’amore
Non potevano scegliere concept migliore i Banco del Mutuo Soccorso per celebrare i 50 anni di una carriera che rasenta la leggenda. Insieme a band come Le Orme, Museo Rosenbach e PFM, la band, dopo la dipartita di Francesco di Giacomo e ormai guidata dal solo reduce Vittorio Nocenzi, ha raggiunto uno status di assoluto prestigio e culto. Con Orlando Le forme dell’amore la band riprende il testo di Ludovico Ariosto, autore già omaggiato nel pezzo “In volo” del 1972, che si apriva con le parole fatate: “Lascia lente le briglie del tuo ippogrifo, o Astolfo”…
La vicenda del paladino impazzito d’amore per Angelica – e immerso in una trama tanto intricata quanto quella de Il trono di spade – in realtà è lo spunto per un concept che a tratti attualizza il poema di Ariosto e affronta tematiche eterne quali il dissidio tra dovere e amore. Il tutto in circa 80 minuti di musica prog. rock sublimata da liriche interamente in italiano (ma nel booklet non manca la traduzione in inglese).
Il disco parte in pianissimo, bisogna aspettare e superare i primi brani per arrivare ai momenti più significativi del concept (vedi “L’amore accade” e “Moon Suite”), ma dopo diversi ascolti il giudizio su questa fatica del Banco non può che essere positivo come per il precedente Transiberiana.
Veniamo allora alla tracklist. Dopo un anonimo “Proemio” – che ricalca le prime ottave rese famose dal chiasmo “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori –, “La pianura rossa” introduce il tema della guerra, uno dei leitmotiv del concept, dando voce a misteriosi guardiani dell’acqua e a un cattivissimo mago Atlante. Le cose funzionano a metà, più che i testi e le musiche sono le linee vocali a risultare a tratti troppo fuori dalle righe. Iniziano a presentarsi, inoltre, alcune contaminazioni orientali, queste sì ben gradite.
Da manuale l’avvio di “Serve Orlando adesso”, atmosfere vellutate e guitarwork ispirato come nei migliori The Flower Kings. Il brano prosegue sornione mentre i testi indugiano sulla contraddizione tra dovere e piacere. Orlando, infatti, è l’eroe diviso tra la sua missione guerresca e la ricerca del vero amore per Angelica: come nuovo Ercole al bivio il protagonista non può che ritrovarsi solo e meditabondo…
La sua insofferenza si manifesta nel pezzo successivo “Non mi spaventa più l’amore”: il confronto con eros svela il lato umano troppo umano di Orlando e il Banco mette in musica questo aspetto con un main theme che si regge su uno staccato di chitarra elettrica gustoso; da segnalare l’uso di un synth di fisarmonica e la coda strumentale del brano, momento di grande virtuosismo.
Il basso è protagonista in “Non serve tremare”, song in tempo dispari che poi lascia spazio alla bellissima “Le Anime Deserte Del Mondo”, i cui testi rasentano la poesia: «Ma che bel mestiere / è coltivare luci e numeri / del cielo come nuvole in fiore. / Non può appassire / il progetto di un fiore / se l’hai immaginato perfetto.»
“L’isola Felice” mette in scena il canto VI del furioso, che si studia ancora sui banchi del liceo per parlare della maga Alcina, artefice della metamorfosi in pianta del paladino Astolfo, nonché colei che dà filo da torcere a Ruggero, capostipite degli estensi (i dedicatari dell’opera di Ariosto). La band riesce a rendere l’ambientazione esotica e l’uso di filtri vocali per dar spazio ad Astolfo è un tocco geniale.
Segue “La Maldicenza”, sei minuti strumentali tutti da scoprire percorrendo un tunnel sonoro claustrofobico ma anche rinfrancante nella parte conclusiva priva di batteria.
Regala emozioni pure l’accoppiata “Cadere O Volare”-“Il paladino”. I testi ritornano sulla lacerazione interiore di Orlando (“Scegli cosa vuoi essere: / un Paladino o un uomo innamorato?”), c’è spazio per una sezione funky divertita e nei tre minuti strumentali del “Paladino” Filippo Marcheggiani si prende qualche soddisfazione alla chitarra elettrica, rasentando perfino alcune sonorità metal.
E siamo finalmente a uno degli highlight del disco. “L’amore accade”. Stiamo parlando di una ballad intrisa di sentimento, con testi interpretati da una magnifica voce femminile che interpreta la parte di Angelica, simbolo dell’eterno femminino che s’interroga sul suo essere ridotta a mero oggetto del desiderio maschile, tanto da non riuscire a trovare la propria libertà. Un inno all’identità femminile che dà voce a un personaggio a torto ritenuto secondario: immancabile in un concept ben bilanciato.
Se la donna è uno dei poli irrinunciabili del Furioso, insieme alla guerra, c’è spazio tuttavia anche per la dimensione dell’altrove. Ecco, come per magia, un sample con parole di Neil Armstrong che introducono “Non Credere Alla Luna”. Trattasi di brano postmoderno con testi visionari (“Ma tu non crederle, perché / lei è solo un ladro bianco appeso in mezzo al cielo, / che ti ruba i sogni e li porta via.”) e che presenta note di tromba imbizzarrita utili a donare carattere e istrionismo al tutto. Non un brano al chiaro di luna, semmai un dipinto astratto che parla del viaggio di Astolfo a bordo dell’ippogrifo in modo inedito e imprevedibile.
Il concept è quasi finito, c’è tempo ancora per tre brani, che coprono venti minuti, metà dei quali occupati dalla traccia intitolata “Moon Suite”, la più lunga in scaletta e divisa in ben 7 parti. L’avvio è iconico, merito di testi ispirati e giustamente alati vista la circostanza: “Vola, vola su Dio, vola diverso / vola volando, vola via.” Si parla di escapismo, del tempo edace e compaiono anche le Parche… Davvero difficile descrivere a parole l’esperienza che si vive ascoltando la suite, che si chiude senza sbavature con lo stesso tema proposto all’avvio. Tra i momenti più riusciti dell’album.
Gli ultimi due pezzi sono di diversa caratura: poco più che passabile “Come È Successo Che Sei Qui”; è un finale degno del concept, invece, “Cosa Vuol Dire Per Sempre”. Tony d’Alessio canta parole dagli echi catulliani che descrivono il prevalere del tema amoroso su quello bellico, questa la catarsi di Orlando proposta dal Banco del Mutuo Soccorso.
Abbracciati come naufraghi sospinti a riva
come rovi stretti contro il fianco del vulcano!
Non tutto quel che siamo andrà perduto
amarti è tutto quello che so fare
e mille baci ancora sotto il cielo ti darò.
Orlando Le forme dell’amore in definitiva è un disco per amanti del buon prog. rock, in questo caso impreziosito da testi in italiano che non hanno niente da invidiare al nostro miglior cantautorato. Il disco è ben prodotto e l’alchimia della nuova line-up a tratti riesce a rendere la magia del glorioso passato della band dei fratelli Nocenzi. La prova di Tony d’Alessio non è priva di qualche difetto ma nel complesso è positiva. Alle chitarre Filippo Marcheggiani e Nicola di Già (già produttore del Balletto di bronzo) sono impeccabili, così il bassista Marco Capozi (ex-Metamorfosi) e Fabio Moresco alla batteria. Quando si parla di veri professionisti e quando l’ispirazione attinge a un capolavoro della letteratura mondiale il risultato non può che essere un piccolo cammeo progressivo.
Buon ascolto a tutti.