Recensione: Ormskrik
Tempo di debutto per gli Ormskrik, giovane quintetto di scavezzacollo norvegesi attivo dal 2015 che, dopo una manciata di singoli negli scorsi anni, se ne esce con quest’album auto-titolato e si prepara a mettere a ferro e fuoco l’Europa. Ebbene sì, signore e signori: “Ormskrik” è davvero una bella bombetta, e ha tutte le carte in regola per strappare larghi consensi nell’utenza metallica. Ma procediamo con ordine. Gli Ormskrik si dedicano a un ibrido muscolare tra thrash, black e death metal che non si vergogna a tributare i giusti onori ai grandi del passato ma nemmeno si perde nel misero e nostalgico citazionismo. I nostri hanno fame, voglia di rompere tutto e anche la giusta dose di sfacciataggine, e condensano il tutto in tre quarti d’ora secchi di musica irruenta e d’alto profilo, sorretti da una produzione pulita ma non artefatta che mette in mostra le numerose qualità degli scandinavi: un’ottima sezione ritmica, precisa e disinvolta, che sostiene il resto del gruppo e detta i tempi senza prevaricare le chitarre, che così vengono lasciate libere di spaziare da riff tremolanti di scuola black a frustate thrash che sembrano uscite dalla Bay Area dei tempi d’oro. A coronare il tutto, i ruggiti di una voce molesta e iraconda che mescola furia hardcore e malvagità black.
I nostri, però, vanno oltre: infatti, anziché limitarsi a una semplice quanto oziosa dimostrazione di forza bruta, giocherellano abilmente con generi e sottogeneri e inseriscono nel loro amalgama – in cui, comunque, la rabbia non è mai troppo lontana dal centro della scena – passaggi solenni, arpeggi malinconici, guizzi trionfali, raffiche maligne, fraseggi contemplativi e, soprattutto, tanta sana cafonaggine. Ogni brano di “Ormskrik” possiede una personalità ben definita pur mantenendo caratteristiche comuni agli altri, e questo crea un vortice eterogeneo ma tutt’altro che dispersivo in cui tutti gli elementi si combinano in un caleidoscopio di idee ed influenze appetitoso e bilanciato. Nonostante tutto l’album si mantenga su un bel livello, mi si permetta una menzione particolare per “Helheim”, in cui i nostri passano con nonchalance dalla furia black al death melodico, passando per il trionfalismo dell’heavy e benedicendo il tutto con una sezione strumentale da pollice alto.
Con “Ormskrik” i cinque norvegesi danno vita a un album fresco, energico e vitale, e riescono a mescolare egregiamente spunti e suggestioni senza risultare indigesti o confusionari, bilanciando con cura ogni aspetto della loro proposta ma senza ampollosità, mantenendo alti sia l’attenzione che l’interesse degli ascoltatori con brani solidi, aggressivi ed affamati, che crescono sempre più con gli ascolti grazie al perfetto equilibrio tra furia e melodia.