Recensione: Orphan Of Good Manners

Di Damiano Fiamin - 30 Dicembre 2011 - 0:00
Orphan Of Good Manners
Band: 6:33
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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50

I 6:33 sono una delle giovani promesse dell’avantgarde francese. Nati nel 2008, questi ragazzi suonano “Avantgarde/Industrial/Crossover/Prog“. Basterebbe aggiungere una mountain bike con cambio Shimano e una batteria di pentole per avere un pacchetto completo e irresistibile. Per sintetizzare la pretenziosa sequela di aggettivi, possiamo semplicemente dire che stiamo parlando di un death metal infarcito di ammiccamenti sonori decisamente vari. L’idea di base è quella di accostarsi ad una musica estrema con un approccio molto aperto, amalgamando e miscelando elementi melodici disparati, spruzzando qua e la esperimenti audaci, caratterizzati da commistioni elettroniche e meccaniche, al fine di realizzare un contesto musicale dove gli strumenti e l’uomo possano fondersi e rinascere, generando una nuova forma di musica. Una premessa indubbiamente coraggiosa, ma vediamo che cosa ne è uscito fuori.

L’incipit di Lift Off è acido e dissonante, con la chitarra che si contorce su una base ruvida e sporca. Lo sviluppo del brano alterna momenti sincopati a martellate sonore, con dei cori in sottofondo, talmente occultati dal muro acustico creato da passare quasi inascoltati. Beretta è un pezzo di death metal più standard, con i musicisti che spingono forte sul pedale dell’acceleratore e plettrano con quanto più vigore possibile le corde dei loro strumenti. Black Becky comincia a mostrare i primi segni di schizofrenia: il brano sembra essere costruito accostando un pezzo ambient ad uno dei Gojira, mentre un folle DJ si auto-nomina responsabile dell’inserimento di intramezzi elettronici. L’effetto, che sulla carta doveva sembrare geniale, non mi sembra particolarmente convincente; la situazione non migliora certo quando, su una base ritmica trapanante, la voce si abbandona a lirismi eterei. L’apertura fusion di Drunk In Krakow da il via ad un pezzo caratterizzato da un basso brioso, accompagnato da trombe e tastiere. Una canzone complessivamente gradevole che, però, aggiunge ulteriore carne al fuoco senza riuscire a dare una valida motivazione a riguardo. Little Silly Thing, si apre con una poco incoraggiante campanella d’allarme, accompagnata da voci e chitarre distorte e impastate, che si affastellano per dare vita ad un pezzo dove, nonostante l’esordio punk, si assiste ad uno sviluppo in chiave swing/elettronica, con rapide cavalcate a singhiozzo e bassi rutilanti, in grado di ammiccare vistosamente all’ascoltatore prima di esplodere in un coacervo di sonorità ad alto grado di dissonanza, accostate freneticamente secondo uno schema imprevedibile, spaziando dal metallo estremo ad una chiusura quasi operistica. La seconda parte del dittico è un brano ai confini dell’industrial più grezzo; disturbante nella sua ossessiva ripetitività, è sicuramente uno dei momenti meno riusciti dell’intera produzione.
Nuovo cambio di registro con The Only One: la morbida apertura al piano funge da incipit per un brano meno arrabbiato, quasi teatrale, in cui occasionali deflagrazioni sonore fungono da contraltare ad una struttura melodica più rilassata, pur preservando inalterata l’energia di fondo. Con The Fall Of Pop, ci troviamo ad avanzare incerti negli alieni territori della techno: cacofonico e fastidioso, può essere semplicemente saltato dopo i primi ascolti effettuati per dovere di cronaca. Karmacoma continua con le sperimentazioni, accostando sonorità graffianti a brutalizzi elettronici. La title-track arriva in chiusura e porta con sé un incipit arioso e di largo respiro, con la voce che, per l’occasione, si ripulisce e gli strumenti si dedicano a realizzare un brano tranquillo e melodico, con armonie concilianti che perdurano per la quasi totalità della canzone, come a voler compensare quanto ascoltato finora.

Analizzare questo disco è stato difficile e faticoso. La musica proposta dai francesi è difficile da digerire e mi sono ritrovato spesso a domandarmi se stessi ascoltando un crogiuolo di autentica genialità o un semplice ammonticchiamento sonoro. Il problema di fondo è la schizofrenia che caratterizza la struttura del disco: l’idea di mischiare i diversi generi musicali è indubbiamente interessante e porta, in alcune occasioni, a risultati piuttosto accattivanti. Nella maggior parte dei casi, però, la velocità con cui ci si sposta da una tonalità all’altra è semplicemente spossante, con cambi di ritmo, sonorità e genere che sopraffanno l’ascoltatore, susseguendosi frenetici e dando quasi l’impressione di trovarsi in una stanza in cui sono accesi in contemporanea quattro o cinque stereo, tutti intenti a riprodurre qualcosa di diverso. Alla fine, nonostante molti ascolti, non si arriva mai a capire qual è l’indirizzo preciso della band, né ciò a cui puntano questi ragazzi. Non basta certo dimostrare di sapersi giostrare attraverso mille generi musicali per suonare musica d’avanguardia, se poi questa musica non suscita reazioni o non spinge, perlomeno, alla riflessione. Forse sono io a non comprenderli, ma sono convinto che i 6:33 possano decisamente fare di meglio.

Damiano “kewlar” Fiamin

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Tracce:
01. Lift Off
02. Beretta
03. Black Becky
04. Drunk In Krakow
05. Little Silly Thing Part I
06. Little Silly Thing Part II
07. The Only One
08. The Fall Of Pop
09. Karmacoma
10. Orphan Of Good Manners

Formazione
Kinky Zombie – Voce
Niko – Chitarra
S.A.D. – Basso
Dietrisch Von Schtrudle – Tastiera
Mr Z. – Tastiera

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