Recensione: Orphans
Quello dei The Agonist è uno dei classici casi che riescono a dividere i propri fan in due fazioni, in questo caso si parla prevalentemente di quella metà che apprezza gli esordi della band, quelli che hanno visto l’attuale singer degli Arch Enemy, Alissa White-Gluz, al microfono, e la metà del periodo attuale cominciato nel 2014 con l’EP “Disconnect Me” e proseguito fino ad ora con il nuovo e terzo full lenght post-Alissa, dove a dettare i ritmi abbiamo una gentil donzella e che risponde al nome di Vicky Psarakis. La discografia e l’esistenza della band viene quindi erroneamente quasi recisa in due parti, ma la realtà dei fatti è che la band canadese ha messo in chiaro sin da subito la loro proposta musicale, fatta di un death con sfumature melodiche che con il passare del tempo – e del microfono – hanno goduto di un miglioramento netto. E mentre gli Arch Enemy, nonostante dispongano di alcuni tra i migliori strumentisti in ambito metal, non riescono a divincolarsi da quel pantano di mediocrità affibbiatagli addosso dalla ex singer e attuale manager Angela Gossow, i The Agonist effettuano il sorpasso, magari non in termini di vendite o di volume specifico del proprio nome, ma sicuramente in quanto a capacità compositive e qualità della musica proposta.
Mi voglio schierare, del resto una recensione non è altro che il parere personale del redattore di turno, il quale potrà entrare da un orecchio e uscire dall’altro alla velocità della luce, ma saprà comunque darvi qualche spunto di riflessione. Seduto nella scrivania del mio studio, osservo la collezione dei primi dischi degli Arch Enemy (quelli dell’epoca di Liiva, per intenderci) e vi posso assicurare che non godo affatto nel vedere una delle mie band preferite sguazzare in una putrida pozzanghera trita e ritrita, andando a complicarsi la vita per stupide faide legali che altro non hanno fatto che rendere la situazione ancora più ostica. Siamo però qui per parlare dei The Agonist per fortuna, che non rappresentano appieno la nemesi della band svedese, poiché portatori di un’offerta musicale più incline al melodico ed è proprio qui che l’evoluzione del sound del combo canadese da punti a tre quarti dei competitors presenti in catalogo. Basta tergiversare.
E’ passato qualche anno da quando Danny Marino e Chris Kells hanno scritto le note dei primi brani della propria creatura e da lì il sound ha subìto una costante mutazione, trascendendo quell’orda caotica di note e parti che sembravano messe lì più per spiazzare che per appagare, sino al nuovo “Orphans”, un disco che più di ogni altro è inciso a fuoco con il marchio di fabbrica dei The Agonist. La maturità artistica è un processo lento e che va perseguito giorno dopo giorno, ma l’ascoltatore potrà sostanzialmente rendersi conto dell’evoluzione di una band soltanto con il passare degli anni. In questo caso la scalata compositiva del gruppo si dimostra ancora più incredibile e mette in cattedra quelli che sono a tutti gli effetti gli ingredienti principali dell’album. Padrona di casa indiscussa è proprio Vicky, in grado di meritare la propria posizione con i fatti grazie a una prestazione a dir poco strabiliante. E poi, ingrediente comunque fondamentale per la buona riuscita di un disco musicale, la sezione strumentale, offerta da un gruppo compatto e che ha una impeccabile padronanza dei propri strumenti, pur senza mai esagerare in virtuosismi che possano distogliere l’attenzione dall’obiettivo principale del disco: fare belle canzoni.
Queste ci sono tutte, a partire dalla esplosiva opener In Vertigo, che al pari di A Devil Made Me Do It riesce a viaggiare sui binari dell’alta velocità e sfrutta al meglio una produzione molto pulita, anche se in alcuni frangenti suona più compressa di quanto avremmo potuto desiderare. Pazzesco il growl ficcato sul finire del brano di apertura. La sezione ritmica adora accelerare e il blast che troviamo in As One We Survive è il contraltare definitivo per quel lato melodico che contraddistingue la fantastica ugola di Vicky. Dedicate i vostri timpani alla successiva The Gift Of Silence per esempio e la amerete anche voi. In questo caso apprezziamo sia le strofe devastanti, che la dolcezza di una delle voci più versatili del mondo metal, la quale ci trascina lungo le successive Blood As My Guide e Mr. Cold, altri due pezzi molto compatti e ricchi di ispirazione che riescono a non scadere mai nel “già sentito”.
Ve l’ho già detto che Vicky fa paura su questo disco? Ok, mi piace ripeterlo, perché la sua voce è come il buon vino e con il passare degli anni migliora e crea dipendenza: vedi Dust To Dust. C’è tempo per il trittico finale che nemmeno a dirlo funziona alla grande, con The Killing I e Burn It All Down che rappresentano in musica l’effetto di un colpo di pistola dritto in mezzo agli occhi. Ho reso l’idea? Discorso a parte per la title-track, una vera gemma di rara bellezza, una bomba atomica in quanto a potenza, ma che arriva travestita dal delicato candore cantato dalla signorina Psarakis. Oscura, emozionante, avvincente come la colonna sonora del miglior thriller che vi viene in mente. Allo stesso modo, il nuovo lavoro dei The Agonist è il risultato di un impegno maturo, un prodotto che vi scuoterà dalla sedia già sin dal primo ascolto e che, volta dopo volta, saprà farsi apprezzare per racchiudere in ogni singolo brano più generi di quelli che trovereste nella playlist settimanale di vostro cugino. Lo scontro tra gli Arch Enemy e i The Agonist, qualora mai esistesse realmente, sarebbe un no contest in favore del gruppo canadese, forti di una grinta contagiosa che ci fa ben sperare per il futuro del death metal melodico. Se qualcuno avesse crisi d’identità o mancanza di ispirazione, questo è il disco giusto per svegliarsi e cambiare marcia, anche se per questi ragazzacci è routine, solo che hanno affilato le armi e fanno ancora meglio di prima. Disco strepitoso.
Brani chiave: As One We Survive / The Gift Of Silence / Dust To Dust / Orphans