Recensione: Ouroboric Stagnation
Dopo le recenti uscite di Sinsaenum e Oracles, è il turno dei Neurogenic con il loro debut-album “Ouroboric Stagnation”, ennesima band formata dai migliori campioni d’ogni nazione provenienti, in questo caso, dalla Russia (Vlad Melnik – chitarra, voce – Derogation; Anton Zhikharev – basso – Fleshbomb), dagli USA (Marco Pitruzzella – batteria – Six Feet Under) e dall’Italia (Matteo Bazzanella – voce – Indecent Excision).
“Ouroboric Stagnation” è un’esplosione di tecnica tellurica, di scudisciate con i blast-beats, d’inhale all’ennesima potenza, di riff su riff su riff su riff … ad libitum …, di iperboliche danze con il basso a n corde, capace di arrampicarsi su scale ripidissime. Una grandinata dalla precisione chirurgica sui denti, della durata di soli venticinque minuti circa, più che sufficienti a radere al suolo ogni cosa.
Il brutal death metal dei Neurogenic è nobilitato da una spaventosa padronanza, da parte di ciascun membro, delle proprie corde, spesse e meno spesse, dei propri tamburi / rullante / grancasse / ecc., delle proprie corde ma stavolta vocali. Uno spavento di perizia tecnica applicata agli strumenti musicali che innalza i quattro assi ai massimi livelli della scena internazionale, nel genere più sopra menzionato.
Questo per ciò che concerne l’abilità esecutiva.
Per il resto, si tratta della mera riproposizione di tutti, nessuno escluso, dei cliché che definiscono le coordinate stilistiche del brutal. Ovviamente, il tutto è elaborato secondo la menzionata maestria nella preparazione di quello che si mette sul piatto. I risultati, per quanto riguarda le song, è tuttavia scarso. L’inhale di Bazzanella, seppur scevro da critiche, apparentemente pare se ne vada per conto suo, nel contesto della canzone. Una sensazione che trova soddisfazione in ‘Vortex of Uncreation’, unico brano degno di nota, non a caso strumentale. Una misera (1′ 30″) dimostrazione di quello che potrebbe essere stato e che invece non è. I Neurogenic, qui, lasciano trasparire un’eccellente capacità di scrivere in profondità, scavando con dovizia nelle tetre e oscure lande ove vagano le menti umane. Purtroppo per loro è solo un attimo. Il resto, difatti, è il solito bombardamento senza un attimo di tregua, con i perenni blast-beats ad appiattire ogni velleità artistica di un certo livello.
Bene la muraglia di suono eretta dalle chitarre, bene le complicate linee di basso, bene il preciso e tremendo drumming, bene le suinate (se valutate singolarmente e non nel complesso, dove… spariscono). Il guaio è che è tutto, ma proprio tutto – tranne la già menzionata ‘Vortex of Uncreation’ – trito, stratrito e ritrito. Terminato un pezzo, il seguente pare identico al precedente, cosicché “Ouroboric Stagnation”, alla fine, dà l’idea di essere solo e soltanto una palestra di allenamento per far vedere al resto del Mondo quanto siamo bravi.
Idoneo per far da anticamera alla noia.
Daniele D’Adamo