Recensione: Out Of The World

Di Eric Nicodemo - 10 Settembre 2014 - 7:58
Out Of The World
Band: Platens
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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86

 

La colonna sonora della vita è composta dalle nostre emozioni e dalle nostre aspirazioni. Non a caso ho usato il termine “colonna sonora” perché la musica rappresenta lo specchio interiore e traduce sogni in suoni e note. E seguendo questi pensieri vi troverete a vagare in panorami sconfinati durante l’ascolto di “Out Of The World”, secondo full-lenght dei Platens, band d’origine sicula che esordì nel 2004 con “Between Two Horizons”, pubblicato dalla Frontiers Records. Al timone della band rimane il poliedrico Dario Grillo, che porta avanti il progetto assieme a Riccardo Barbiera (batteria) e Domiziano Mendolia (basso), con il prezioso contributo dei synts e dell’hammond di Gabriles.

Out Of The World” può essere considerato un nuovo inizio, che non cambia il leitmotiv del combo, impegnato a rafforzare i proponimenti del debutto discografico. In questa “pellicola”, infatti, i Nostri inscenano un set caro all’AOR d’annata, popolato da visioni siderali e lunghi addii. Sappiamo bene che questo background non è una sorpresa ma un topos ricorrente, che appartiene da lungo tempo alla tradizione melodica.

Tuttavia, mai ci abitueremo alla possibilità di rincorrere le nostre sensazioni sulle note di “Running”. Nei fotogrammi di “Running” si scandiscono emozioni contagiose, veicolate dalle keys, vistose e vivaci, e fatte esultare dalla chitarra di Grillo, capace di condurci al di là delle coltri di nubi che coprono la volta celeste.

Assorti nei pensieri mentre siamo ancora in viaggio, la mente va ai Journey e alla loro eredità, facendoci nascere un sentimento di nostalgia che affonda le proprie radici nelle verità nascoste di “Time Will Tell”. L’esuberanza dei tasti sposa le roche carezze di Dario mentre il desiderio impellente di una risposta si traduce in fuga e la sete di verità e riscossa vibra attraverso il coro esultante, una fontana che zampilla adrenalina e pathos. Da non tralasciare l’intarsio chitarristico, che arricchisce d’eleganza e dinamicità la seconda track, la quale si candida a buon diritto come uno dei momenti più alti dell’intero album.

I Platens non nascondono mai il proprio amore per le tematiche care all’adult oriented rock ed “You Won’t Bring Me Down” confessa i mille volti della passione. Si innesca una reazione a catena di sentimenti tumultuosi ed irrefrenabili che devastano la voce dell’amante, la cui psiche confusa partorisce fantasie emotive sul filo della chitarra. You Won’t Bring Me Down” crea una scalinata eterea tra passato e presente dell’AOR attraverso cori suggestivi, forse non nuovi ma infuocati d’entusiasmo, con l’unico obiettivo di smuovere il motore della nostra sfera affettiva. Sempre indispensabile l’apporto di Grillo, il cui guitar play media la giusta dose di tecnicismo con una scrittura epidermica, creando linee godibili e coinvolgenti.

Destare emozioni sembra l’imperativo dominante di questo disco, una necessità spontanea che non accenna ad affievolirsi nella pioggia romantica di “Ask Yourself” o nello slancio passionale di “I Still Search For You”. D’altronde, di fronte a musica del genere si instaura un legame affettivo ed “Ask Yourself” parrebbe la domanda chiave, quella che ci poniamo per comprendere la causa di tanta partecipazione. La risposta a tale quesito non può essere spiegata a parole ma si trova nell’irrequieta tensione del main vox, nella luce del guitar solo che, come una cometa, si eleva e poi svanisce, lasciando una scia di cordoglio, cullato tra le braccia amiche dei tasti.

E proprio le tastiere non rinunciano mai al ruolo di ancelle del seme dell’AOR, che è profondamente piantato in questo disco, dal quale germoglia una melodia più impulsiva ed energica, come ci spiega “I Still Search For You”: l’intro potente ed atmosferico si spezza, come uno specchio in frantumi, liberando il battito cardiaco, frenetico e serrato, del drumming di Barbiera. In questo loop, che alterna riflessione e fervore, la stella guida brilla nel refrain, capace di trasportare le nostre emozioni nel cosmo più profondo.

Un cosmo che non perde la propria forza ma cresce al caldo respiro di “Sometimes I Miss You”. Se poi verrete sedotti dal languido sax o rimarrete succubi delle persuasive onde magnetiche del main guitar, non fatevene una colpa, perché vi trovate nel vivo di una canzone che ha la stessa malia di una sinuosa sirena.

Giunti a questo punto, “Out Of The World” deve superare la prova più difficile, dimostrandosi meritevole della promozione. Dubbi che vengono fugati quando la nostra fantasia dispiega le sue ali al grido disperato di “Last Final Time”. Ancora attimi di appassionata poesia, che raggiungono l’apice quando il frontman cattura la decadenza dell’estremo sacrificio e lo traspone nelle sfumature di un assolo. “Last Final Time” ha il merito ultimo di rivelare un platter ad ampio respiro, che non si nutre solo di impressioni hard’n’roll ma si avventura oltre i confini del rock, sconfinando in territori sinfonici.

La visione musicale, infatti, si amplia e con disinvoltura passiamo dai toni magniloquenti e drammatici di “Last Final Time” al rock blues spigliato di “Don’t Leave Me Alone”, che unisce l’hammond vivace di Gabriles con il vulcanico coro seventies, cavalcando sonorità care a quel “Burn” che tutti noi conosciamo ed amiamo (senza rinunciare alla magia dei Rainbow, ovviamente…).

Ancora sentimenti forti e profondi animano “Deep In My Heart”, che accoglie il lato più intimo e solare dell’animo umano per scuoterlo dal torpore con l’impeto del ritornello.

Tuttavia, a “Save Me” è affidato il messaggio finale che i Platens voglio lasciarci nel chiudere “Out Of The World”. Un messaggio quasi salvifico che, come il titolo suggerisce, riprende le sfumature più sofferte dell’album, grazie all’apporto enfatico del pianoforte, del gentile plettraggio o del romanticismo accorato delle liriche, in bilico tra sussurro e grido di dolore. Save Me” è anche la dimora dove il main guitar scorre agile e senza vincoli, lasciando la chiusura ai synts stranianti.

Come da copione, la tracklist non rinuncia ad offrire la propria interpretazione di un classico anni ottanta: in questo caso, la scelta è ricaduta su “No Easy Way Out” di Robert Tepper (canzone celebre per essere comparsa nella colonna sonora di Rocky IV più che per la sua effettiva bellezza). Non mi soffermerò più di tanto su questo surplus, ma vi dirò solo che la performance vocale ricalca fedelmente Tepper, soprattutto nel ritornello, mentre il bridge centrale si lascia ascoltare, sebbene è doveroso esprimere una preferenza per l’originale… ma queste sono semplici inezie.

La panoramica che ho cercato di offrire vi darà le coordinate di lettura dell’ultima fatica dei Platens: “Out Of The World” può sempre contare su arrangiamenti curati e ritornelli saturi di armonia e carica emotiva, grazie anche all’esecuzione d’impatto sia sotto il profilo vocale che strumentale. Tutto il disco si dimostra ottimamente armonizzato e calibrato all’interno di un songwriting vario e cesellato, il vero cuore di un platter mai noioso e privo di inutili riempitivi. D’altronde, le diverse influenze musicali di Grillo hanno giovato alle composizioni, che, come già evidenziato, delineano uno stile che incorpora una visione musicale più ampia e, quindi, scevra da banali ed inflazionati schemi di genere (basti notare le evoluzioni della chitarra solista o il drumming a tratti powereggiante in “I Still Search For You). Ed il cuore di questo disco batte così forte da poter impensierire pure la cara Svezia, dimora dei nuovi astri del rock melodico. Sì, perché “Out Of The World” rimane l’ennesima prova di talento e grande affinità per le melodie, prove materiali che dovrebbero una volta per tutte sottrarre il rock made in Italy dai margini della scena musicale.

La speranza in fondo rimane sempre la stessa: il giusto riconoscimento per chi, come i Platens, dimostra che è ancora possibile amare la grande musica nel Bel Paese.

 

Eric Nicodemo

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