Recensione: Out Of This World
Recensione a cura di Giorgio Giusti & Sergio Romagnoli
Band attiva dall’inizio degli anni ’70, gli olandesi Kayak sono passati attraverso innumerevoli cambi di formazione restando però sempre nell’ambito di un prog a tratti sinfonico con una spiccata enfasi melodica e trame raramente complicate. L’ingresso nella band nel 2018 di Kristoffer Gildenlöw , ex membro dei Pain of Salvation e fratello del loro leader Daniel, ha forse favorito l’ingresso della band nella scuderia Inside Out, pregevole etichetta tedesca specializzata proprio in ambito prog nella più ampia accezione del termine.
Nell’ascolto di Out of this world non troverete però nessun riferimento ai Pain of Salvation, infatti l’alternanza di brani con arrangiamenti prog sinfonici a quelli più “leggeri” rende l’opera più simile agli Alan Parsons Project. Esemplare in questo senso è l’uno-due iniziale con la title track, forse il pezzo migliore del disco, che presenta un bell’intreccio tra chitarre e tastiere, un’incisiva sezione ritmica con parti vocali a più voci arricchito da una sezione archi (non campionati), mentre il successivo brano si spoglia di molti orpelli e rientra sicuramente in ambito pop rock.
A questa alternanza si aggiungono momenti di chiara ispirazione “musical” come in A Writer’s tale e nella conclusiva Ship of Theseus, soluzione già adottata anche in passato dai Kayak e un (goffo) accenno alla Toto in Traitor’s Gate. L’approccio strumentale è davvero bello in Critical Mass, all’inizio song morbida ma poi si trasforma in una canzone rock progressive in piena regola. Il duo As the Crow Flies e The Way She Said Goodbye rallenta i ritmi, essendo quest’ultima una ballata d’amore potente ed emotiva con ottime melodie di chitarra…
Con una band così compatta e performance così eccellenti, a volte si può perdonare anche la tendenza al refrain “già sentito”e invece sottolineare la maestria dei membri del gruppo: le doti di Ton Scherpenzeel (Keys) e Marcel Singor (Guitar) hanno molte opportunità per porsi in evidenza, anche per la capacità dei musicisti di capire quando trattenersi e quando lasciarsi andare.
Out of this world assomiglia insomma a un caleidoscopio di suoni che si intrecciano tra loro: progressive, AOR, art rock e pop. Il risultato finale a volte è molto “carico” vista la ricchezza di generi messa in campo; non va trascurata anche la presenza di ben tre voci diverse e di un surplus di arrangiamenti sinfonici che rendono l’opera in alcuni momenti “pomposa”. Esclusi un paio di episodi decisamente “easy listening” il disco comunque risulterà estremamente piacevole a chi ama questo tipo di approccio al prog per niente cervellotico ma sempre ben curato.
Nel complesso possiamo considerare positivamente Out of this World, che assomiglia ad una tavolozza di mille colori, a volte diversi tra loro, altre un po’ simili, ma nell’insieme affascinanti e di loro luce riflessa.