Recensione: Outcast
L’ottavo album di studio dei leggendari Kreator si intitola “Outcast” ed è uno di quelli meno apprezzati dagli amanti del thrash metal. I mitici tedeschi durante la loro lunga carriera discografica hanno prodotto dei dischi nei quali hanno voluto aprirsi a nuovi orizzonti musicali e spesso questo desiderio di cambiamento può non risultare piacevole per quella parte del pubblico che preferisce che i gruppi mantengano lo stile con il quale hanno raggiunto il “successo”. Questo non è il caso della band di Mille Petrozza, che con l’album “Renewal” (1992) inizia un periodo di modifiche al proprio sound durato fino al nuovo millennio. “Outcast” è un lavoro che innanzitutto segnala dei cambiamenti di sintesi della band con il ritorno di Jurgen “Ventor” Reil alla batteria e l’introduzione di Tommy Vetterli (ex Coroner) alla chitarra. Inoltre, fin dal primo ascolto si nota che l’album ha delle sonorità diverse rispetto alla discografia dei Kreator degli anni Ottanta come “Pleasure To Kill” o “Extreme Aggression“. Nel complesso “Outcast” ha un profilo meno aggressivo, meno thrash e mette in evidenza il tentativo di aggiungere elementi vari da più generi musicali, fatto che rende il disco assai differente e per alcuni meno bello di altri a firma Kreator. In realtà questa diversità rende “Outcast” particolarmente interessante, per il semplice motivo che mette in scena il tentativo di una band di vecchia scuola di adattarsi ad uno stile musicale più al passo con i tempi coevi, gli anni Novanta, esattamente come accaduto per altri grandi nomi del thrash, ad esempio gli Anthrax, modificando le atmosfere in una direzione magari meno complesso e probabilmente più commerciale.
La prima parte dell’album è arricchita da molti elementi aggressivi e progressive metal; ci sono brani relativamente più veloci, come l’opener “Leave This World Behind” e la celebre “Phobia” (mai assente dalle setlist del gruppo), ci sono delle sonorità più groove, evidenti nella bellissima “Forever“, canzone dall’andamento più lento, più death, ma con una finale inaspettatamente veloce di chitarra alla vecchia maniera. Il tempo rallenta decisamente anche con “Black Sunrise“, nella quale una cornice oscura viene ulteriormente rafforzata dalla voce di Mille Petrozza. A metà strada troviamo la magnifica title track, forse il brano più dark, riff potenti, melodie gothic con maggior enfasi sulla negatività dei testi; la risultante di tutto ciò è una serie di emozioni intense di disperazione, angoscia e paura, con la voce di Mille più espressiva che mai. E mentre siamo al massimo del pessimismo, arresi, come dei veri “emarginati”, ecco che l’aria cambia completamente. L’altra metà di “Outcast” trasmette suggestioni più “lievi”; con “Stronger Than Before” i testi sembrano diventare più positivi, le melodie più vivaci, non esattamente i tipici elementi “alla Kreator“. Basta dare un ascolto a “Whatever It May Take” con la parte cantata che diventa “elettronica”, oppure gettare l’orecchio anche ai titoli degli ultimi pezzi, come “Alive Again” o “A Better Tomorrow“, per renderci conto della situazione cambiata. Possiamo tirare un sospiro di sollievo ascoltando questi brani che ci ridanno una speranza di sopravvivenza, la forza per superare le difficoltà. Si conclude così questo album che sarà il penultimo di un’era di sperimentazione. Infatti dal 2001, con l’ingresso di Sami Yli-Syrniö alla chitarra, la band ritorna alle proprie radici. In conclusione, “Outcast” è un album eccezionale, vuoi per la sua atipicità nel panorama coevo e nella discografia dei Kreator, vuoi per la qualità del songwriting, vuoi perché ascolto dopo ascolto cresce e convince, c’è poco da fare, anche se purtroppo mantiene la nomea di titolo fra i più sottovalutati dei Kreator, band di altissimo livello che difficilmente ha dato alle stampe un brutto album, anche laddove abbia lavorato nella direzione di un rinnovamento del proprio stile musicale, con composizioni più semplici e rivolte ad un pubblico più ampio, persino producendo materiale molto “avanti” per l’epoca di pubblicazione.
Katerina Paisoglou