Recensione: Outer
Potente quanto una supernova che esplode fragorosa all’interno dei nostri padiglioni auricolari, il fremito della risonanza vigorosa risuona con prepotenza nell’etere che circonda lo spazio terrestre, alla ricerca forse vana della risposta di una qualsiasi forma di vita intelligente nei meandri del cosmo.
Forse non ci potrebbe essere descrizione migliore per un disco quale “Outer”, un’opera magna che suona gelida come un asteroide cristallizzato che vaga tra le galassie, alla pari di un vagabondo senza meta che non cerca mai facili etichette per definire la propria esistenza: siamo infatti in pieno territorio Avantgarde Black Metal, un terreno spesso molto pericoloso se non affrontato con le giuste precauzioni..
….ma l’astronave madre Alien Syndrome 777, padroneggiata ai comandi dal mastermind tricolore Alessandro Rossi, che in questa veste viene accompagnato a bordo da Vincent Cassar degli Smohalla e Óscar Martín degli As Light Dies alla voce, viaggia con sicurezza anche all’interno di quelle sezioni dell’universo dove tempeste di meteoriti senza meta rischiano seriamente di attentare alla vita dei componenti dell’equipaggio: parole che ai più suoneranno forse troppo trasportate, ma ascoltando la bellezza infinita di dischi come questo, verrebbe quasi spontaneo da chiedersi se gli autori di questa Opera Magna non provengano realmente da chissà qualche galassia.
Chissà, ma intanto possiamo tranquillamente goderci un disco di livello (inter)stellare quale “Outer” che, partendo da fragorose radici Black Metal poi si avventura nei condotti spesso poco sicuri della sperimentazione: tali condotti si rivelano man mano sempre più noti ai componenti dell’ensemble, tanto che una volta arrivati alla fine del disco si potrà affermare con chiarezza che il viaggio è stato in realtà estremamente fluido, grazie al navigare con piglio deciso dei propri cosmonauti.
La produzione, fredda e meccanica, percuote i sensi nel segno della battente pioggia percussiva di una drummachine: assieme ad essa un big bang di chitarre asettiche risuona come metallo, mentre suoni ancestrali di synth tendono a ricordarci la propensione del tutto verso binari a loro modo cinematografici, tra echi di cori provenienti da porzioni di spazio-tempo a noi ignote e campionamenti atti a ricordarci un’imminente apocalisse attuata da qualche razza superiore ancora dispersa tra arcane galassie.
Il marasma del tutto risuona come un maelstrom che risucchia a sè ogni porzione del nostro animo terrestre, un maelstrom decisamente avanti nel tempo rispetto al nostro: nel rimbombo di riff e tempi di batteria di chiara matrice hardcore, nelle ignote fasi successive il viaggio cambia di colpo verso anfratti più ampi, tale è il maggiore respiro musicale concesso alle proprie visioni oniriche.
In bilico tra sogno e incubo, sospesi nel vuoto di qualche infinità di stelle, di sicuro qualcuno o qualcosa avrà risposto al sinistro richiamo degli Alien Syndrome 777, mentre noi, ancora presi dalla risonanza interspaziale regalataci dal loro agitare e percuotere, resteremo nel limbo del dubbio: la malvagità è anche questo.
Ed ecco la ragione per cui, in tale specifico caso, un susseguirsi di pochi, poetici spasmi rende decisamente di più dei banali e spesso insensibili tecnicismi vocali usati da noi ‘terrestri’ per descrivere qualsiasi cosa, o anche solo un disco come proprio in questa occasione: loro sono oltre, noi siamo loro discepoli e dobbiamo pertanto trovare un modo per adattarci alla loro astrale magnificenza.
Gli Alien Syndrome 777 stessi potrebbero essere i nostri futuri signori che richiamano dal loro spazio-tempo la razza umana per avvisarla della sua stessa imminente fine, in quanto dopo l’ascolto di “Outer” nuovi, inattendibili dubbi dimoreranno dentro di noi: e così, come dei Mysticum posseduti da qualche innominabile entità aliena infatuata delle melodie oblique di realtà quali Dodheimsgard e Arcturus, si marcia con fierezza contro lo sconosciuto, l’immateriale, forgiando un capolavoro quale è questo “Outer”.
Il frastuono di quest’opera risuonerà ancora per moltissimi anni luce, tanto che sarà impossibile arrestarne la fervida, gelida avanzata sonora.
Capolavoro.