Recensione: Over the Space 30Th Anniversary Edition
Buon compleanno Elektradrive! In realtà i festeggiamenti sono indirizzati ai trent’anni di …Over the Space, il loro esordio a trentatré giri, che vide la luce nel 1986. La band esisteva già da un lustro e all’attivo, sino a quel momento, vantava un 45 giri griffato Smoko Records e la presenza all’interno delle mitiche compilation Heavy Metal Eruption e Metallo Italia. Cinque i protagonisti di quell’avventura tricolore: Alex Jorio (batteria), Elio Maugeri (voce), Simone Falovo (chitarra), Stefano Turolla (basso) e Eugenio Manassero (tastiere). …Over the Space passò alla storia non solo per essersi beccato 90/100 nella recensione del giornalista Dave Reynolds sulle pagine del magazine Metal Forces ma anche per aver rappresentato, a posteriori, il lavoro più duro e dalla connotazione heavy metal dell’intera parabola artistica del combo di stanza a Torino. Elio Maugeri, il loro spettacolare singer, all’interno dei dodici pezzi proposti, idealmente andò a scomodare, sfiorandolo, un monumento del calibro di Ronnie James Dio, tanta fu l’enfasi e le vette interpretative toccate a partire dall’opener Beginning.
Oggi, grazie ai servigi della label inglese Escape Music a …Over the Space viene fornita una seconda possibilità (escludendo il Cd Markuee del 2005), dal titolo Over the Space 30Th Anniversary Edition grazie al lavoro di rimasterizzazione operato dallo stesso Simone Falovo, fondatore della band e ascia sopraffina dell’hard rock tricolore. Il prodotto si accompagna a un libretto di venti pagine con tutti i testi dei brani, foto d’epoca, la recensione di Reynolds, ma soprattutto offre sei succosissime bonus track, riferite a periodi precedenti il disco, alcune di quando ancora si chiamavano Overdrive. Attraverso Let it Survive e Brainstorm del 1984, Winner dell’85, Riding the Wind targata 1983, You Can’t Stop Rock & Roll dell’85 e il pezzo live dell’86 Against the Stream si riesce a ricostruire in maniera archeologica le fondamenta di quel suono magico che poi esploderà letteralmente fra i solchi degli osannati e inarrivabili – anche per …Over the Space – Due (1989), Big City (1993) e Living 4 (2008). Elektradrive: un gruppo con base heavy metal che si andrà nel tempo ad impossessare del mondo – solo nelle intenzioni, purtroppo, pur avendone tutte le potenzialità – per via di un hard rock di classe immensa supportato dai cavalli di un songwriting che pochi altri grandi colleghi erano in grado di riuscire a mettere a terra.
Qui di seguito la recensione di …Over the Space a firma Tiziano Bergonzi – un altro grande di quegli anni, senza dubbio da rivalutare – apparsa sulle colonne della rivista Rockerilla numero 68 dell’aprile 1986, atta a capire l’effetto “Elektra” sul panorama hard&heavy della nostra – allora sì che era amata – penisola.
Influssi astrali positivi si sono congiunti nella costellazione degli Elektradrive e vegliano su questi giovani eroi proteggendoli e preservandoli per un futuro certamente significativo sotto l’aspetto musicale. La legge dei grandi numeri dà loro ragione ed inequivocabili segni cabalistici ci pongono davanti a una nuova entità luminosa che brilla di luce propria nel firmamento sempre più in espansione dell’italico Metallo. Lasciando da parte l’astrologia e l’anatomia , ed entrando nel merito di questa nuova operazione nostrana devo levarmi tanto di cappello nei confronti di questo gruppo che già si era fatto conoscere in tempi pioneristici con un 45 giri, “Let it Survive/Brainstorm” e con un’apparizione sulla nostra Heavy Metal Eruption grazie alla lungimiranza di Beppe Riva, che ha visto loro potenziali leader. E leader si sono confermati con questo loro …Over the Space che, impostato su un suono brillante e tecnicamente raffinato, può essere anche ascoltato al di fuori dei patri confini senza pericolo di smentita. Ho provato soddisfazione anche personale nel vedere che anche da noi ci sia gente che ci sa fare. Per convincervi di questo ascoltate “Secret of the Holy”, “Time Machine” e “Lords of the Ring”, tutti brani di ottima levatura, per non dimenticare il pezzo che dà il titolo al disco, un “fast” di inossidabile freschezza e immediatezza, dove il gruppo dimostra che può competere con i più decantati santoni dell’Hard.
Stefano “Steven Rich” Ricetti