Recensione: Overduyvelsche Boosheit
Dicono che non si debba giudicare un libro dalla copertina e ho sempre pensato che lo stesso valga per un disco, ma quando capita di trovarsi di fronte ad un artwork come quello di Overduyvelsche Boosheit è davvero difficile resistere alla tentazione. E così, un po’ per caso, un po’ perché il Belgio si è recentemente dimostrato fucina di interessanti novità in ambito estremo, ho colto al volo l’opportunità di prendere dal famigerato scaffale l’EP di debutto degli Hanghedief, duo capitanato dall’omonimo polistrumentista accompagnato da un certo Pz. Kpfw alla batteria. Nicknames misteriosi a parte, ciò che abbiamo per le mani non è soltanto un prodotto sfornato dalla sorprendente Iron Bonehead Productions, ma un vero e proprio tuffo nel passato, nel più grezzo black metal che profuma di inizio/metà anni 90, giusto per dare una collocazione temporale più precisa.
Escludendo per un attimo la cover conclusiva di Longing for the Ancient Kingdom II (degli Ancient Rites), stiamo per spalancare i timpani a quattro brani pronti ad annichilire l’ascoltatore grazie ad un sound putrido e crudo come non sentivamo da tempo, eppure capace di trovare un senso assoluto nel disegno generale reso ancora più cupo e profondo dalla straziante voce che sembra levarsi dall’oltretomba e portare con sé gli spettri di secoli passati risvegliati da un sonno senza sogni. C’è violenza, atmosfera e un caos che miete quei pochi minuti di un EP a suo agio nelle note al limite del dissonante, a riecheggiare dietro un impasto di black metal selvaggio e pronto a scatenarsi in una tempesta di fuoco divampata per la gioia e gloria dei demoni che osservano il più spaventoso di loro divorarsi – letteralmente – il campanile di un villaggio condannato all’eterna dannazione. Overduyvelsche Boosheit è una frustata dritta in volto, un tizzone ardente che è pronto a lasciare divampare l’incendio degli Hanghedief. E non vediamo l’ora di averne ancora e ancora.