Recensione: Oxygen
L’Heavy Metal ed i suoi sottogeneri: una storia iniziata quando i Venom sancirono che il loro era Black Metal, per via dei testi non proprio derivanti dal Gospel e non per il sound.
Da lì ne sono nati mille: lo Speed, il Thrash, il Power, il Death e poi ancora il Doom, l’Avant-garde, il Progressive e tanti altri ancora e quando questi non sono più bastati si è anteposto a loro il termine Melodic od il termine Technical.
Insomma, ogni band ha il suo settore e per star dietro a tutto bisogna anche avere una certa mania per la catalogazione.
E chi ascolta musica sul serio ne ha abbastanza nel suo DNA: gli album rigorosamente disposti in ordine alfabetico e per data di uscita, le vecchie cassette con le scritte tutte uguali e perfettamente ordinate, un posto speciale per il platter che ti ha cambiato la vita.
E’ per questo che un album come ‘Oxygen’ dei Morbid Death spiazza, perché non è catalogabile, non è ascrivibile ad alcun genere.
Si può dire che dentro c’è del Thrash, del Death, del Prog ed un sacco di melodia (magari anche un poco di Eros Ramazzotti … direte voi), ma questo è riduttivo: il sound dei Morbid Death (o meglio dei nuovi Morbid Death, dato che l’unico superstite della formazione originale è Ricardo Santos) non è semplicemente un ibrido, ma il risultato di una profonda coscienza artistica volta a creare qualcosa di unico.
‘Oxygen’ è come il lavoro di uno scultore, che crea le proprie statue una diversa dall’altra a seconda del proprio stato d’animo, pur utilizzando sempre gli stessi attrezzi.
Alcuni brani partono in un modo ed arrivano in un altro, seguendo partiture eclettiche ed improbabili, tenendo l’anima sempre in subbuglio, altri sono più diretti senza essere, comunque, scontati, tutti collegati da effetti futuristici che infondono un senso gravoso ed opprimente.
Alla furia segue la disperazione ed alla rabbia il dolore. Riff e linee melodiche s’intrecciano in burrascosi tormenti, l’inserimento di chitarre classiche e tastiere avvolgenti aumentano le emozioni, le doppie voci fanno trattenere il fiato controbilanciandosi con gli assoli dinamici, che danno respiro.
In altri termini ‘Oxygen’ è un gioco di luci e di ombre, un rompere e ricomporre gli schemi, lo squarcio del lampo nell’oscurità ed il fragore dei tuono.
‘Away’ e ‘Deep Down’ travolgono con la loro furiosa ed insana follia, ‘To Escape’ è emotiva, soprattutto durante l’assolo accompagnato dal pianoforte, ma altrettanto forte.
‘Cry Me Out’ cambia le carte in tavola e spiazza con la sua cavalcata classica e l’assolo in chiave Hard Rock, così come ‘Grown Stronger’ e la sua andatura epica.
‘Oxygen’ è pestata ed incisiva, mentre ‘Dark Love’ è una semi ballad tanto romantica quanto disperata e profonda.
‘Jordsträngar’ è una strumentale cupa ed avvolgente, con al suo interno una parte narrata carica d’ansia.
‘Carved Upon a Stone’ è potente e mette nuovamente in luce la vena epica dei Morbid Death; la follia torna con ‘Parasites With Ties’, un brano difficilissimo da assimilare e con una chitarra che tuona come una mitragliatrice.
‘Dead Inside’ è durissima ed iper marziale; mentre la si ascolta i ‘morti dentro’ sfilano in una silenziosa marcia verso l’ignoto.
Chiude ‘The Perfect Lie’, dura e massiccia, carica di energia e determinazione.
‘Oxygen’ è una sferzata di aria rovente; questa nuova formazione dei Morbid Death il ‘mestiere’ lo conosce bene e fa un bel centro. Un nuovo inizio? Speriamo di si.